Recensione: Always the Villain

Di Fabio Vellata - 8 Luglio 2020 - 0:01

Disco d’esordio per Michael Grant artista americano non particolarmente conosciuto e dal passato piuttosto oscuro. Leader a inizio millennio della alternative band Endeverafter e poi per un breve (e controverso) periodo, chitarrista negli L.A. Guns, Grant ha speso gli ultimi due anni elaborando i pezzi e le sfumature caratterizzanti del suo debutto solista, uscito con l’ironico moniker di Micheal Grant and the Assassins.

La base è quella che per convenzione può essere identificata come alternative rock, settore che sin dal primo affaccio sulle scene musicali è appartenuto al polistrumentista e compositore americano. Lo stile, come intuibile, è di conseguenza quello di un hard rock fatto di chitarre ruvide e secche, mitigate in melodie crepuscolari, dark, con ritornelli “chiusi”, abbastanza plumbei, atmosfere talvolta notturne con qualche sottile riferimento al glam anni settanta.
Una combinazione che mette insieme Rolling Stones, Iggy Pop, Backyard Babies, Wasp, L.A. Guns, Cure e White Stripes. Qualche buona idea ed una serie di brani per lo più facili da ascoltare, sono il risultato complessivo di un album piacevole, sebbene non ascrivibile nella sezione degli “imperdibili”.

Va detto che Grant ha dalla sua un’attitudine decisamente rock’n’roll, espressa con una voce sempre molto convincente ed un profilo strumentale che non indugia in sofismi, adattandosi all’immediatezza di canzoni per lo più veloci e dirette. Assolutamente da mettere in evidenza il fatto che per questo primo prodotto in solitaria, l’artista statunitense abbia davvero dato un senso concreto alla parola “solista”. Tutto, dalla composizione delle canzoni sino all’esecuzione strumentale è stata curata personalmente, con il solo aiuto, in rare occasioni, dell’altro ex L.A. Guns, Shane Fizgibbon, alla batteria.
Always the Villain” scorre lesto, i brani vanno benissimo in un contesto poco impegnativo e lontano da elucubrazioni. Come segnalato, uno degli elementi più a favore dell’intero disco sono le vocals di Grant, lontano dall’affermarsi come virtuoso ma parecchio efficace. Piace l’interpretazione un po’ selvaggia che sa però modularsi su di un approccio più sornione e beffardo in occasione dei momenti più oscuri. Differenze che si apprezzano con favore in tracce come “Killing me Slowly“, “Break me with U” e “Nightmares”.
Proprio con quest’ultimo brano poi, assieme alle più radio friendly “Red Light Run”, “Runaway” ed alla notturna “Secrets” si toccano gli apici di un cd costruito attorno ad un’idea di musica tutt’altro che rivoluzionaria ma comunque molto piacevole e soprattutto ascoltabile senza troppe remore.

Il bello di un album come questa opera prima è proprio lì.
Nel proporsi in maniera tutto sommato trasversale e potenzialmente “commestibile” per quasi tutti gli ascoltatori rock. Siano essi degli attempati seguaci dell’hard glam di vecchio concetto piuttosto che le più recenti avanguardie attratte dall’alternative radiofonico e contemporaneo.
Traducendo in poche parole, un esordio interessante per un artista alla ricerca di un’identità che ne definisca e direzioni finalmente una carriera sin qui vissuta un po’ nelle retrovie.

Per il capolavoro c’è ancora tempo.
Gli istanti di buona musica ascoltati in “Always the Villain” fanno tuttavia pendere favorevolmente la bilancia verso un discreto successo complessivo.
Indizio lampante di come la strada intrapresa potrebbe, in effetti, essere quella giusta.

 

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