Recensione: Amusia

Di Matteo Pedretti - 20 Marzo 2021 - 5:00
Amusia
Band: Asofy
Etichetta: Avantgarde Music
Genere: Black  Doom 
Anno: 2020
Nazione:
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75

Nell’ormai lontano 2000 l’allora poco più che ventenne Lucio Mondini, aka Tryfar, diede inizio al progetto Asofy. L’anno successivo la one man band rilascia il primo full lenght ebYm a cui segue oltre una decade di pressoché totale silenzio discografico, interrotto solo dalla pubblicazione dell’EP “Lento procedere prima del sonno” (2007) e di uno split del 2010 con gli Spleeping Village (in cui è coinvolto lo stesso Tryfar come vocalist).  La pubblicazione di “Percezione” nel 2013 segna non solo il ritorno di Asofy, ma anche l’inizio di una duratura collaborazione tra il polistrumentista milanese e la Avantgarde Music, etichetta fondata e gestita da Roberto Mammarella che, con i suoi Monumentum e con la militanza nel nucleo fondatore dei Cultus Sanguine, è un esponente di spicco dell’Italian Dark Sound.

Nata dalle ceneri della Obsucre Plasma Record, negli anni Novanta la Avantgarde Music è divenuta un punto di riferimento per l’underground internazionale, lavorando con gruppi seminali come i finlandesi Thergothon, pionieri del Funeral Doom, gli Unholy, alfieri del Death/Doom, e con realtà affermate come Mayhem e Katatonia. In tempi più recenti la label, sempre attenta alle innovazioni in ambito estremo, ha continuato a promuovere ottime band tra cui gli svizzeri Darkspace (inventori del Cosmic Black Metal) e i Profetus, pesi massimi del Funeral Doom finlandese.

Un progetto sperimentale come Asofy non poteva dunque trovare collocazione più adatta. Amusia, ultimo lavoro in studio uscito nella primavera del 2020, è solo superficialmente ascrivibile alla sfera Black Doom. Si tratta infatti di una release poliedrica, profondamente avanguardistica e atmosferica, in cui si fonde un’ampia gamma di approcci stilistici rielaborati con spiccata personalità. Le liriche sono in italiano, ma i registri vocali utilizzati rendono le parole spesso difficilmente riconoscibili, come se l’autore volesse attribuire loro una funzione espressiva che ne travalica il mero significato linguistico. Al risultato complessivo concorre una produzione leggera e abile nel modulare le componenti del suono per costruire i mood più adatti alle diverse composizioni.

La opener “Agnosia” alterna riff ipnotici scanditi lentamente e passaggi Ambient in un pezzo che può in qualche modo ricordare i Dark Buddha Rising più atmosferici. Non dissimile è “Distonia”, in cui è però posta maggiore enfasi sulla componente Post-Rock. “Palinodia” rielabora la lentezza esasperata e la melodiosità di un certo Funerl Doom accompagnandovi parole recitate che suonano come un omaggio alla tradizione del Prog italiano più oscuro. Con i suoi oltre 12 minuti, la title-track è una sorta di suite in cui al Depressive Black iniziale fa seguito una lunga sezione Ambient dal marcato orientamento Jazz che esplode in una scarica di nero e ruvido metallo.

“Residuo” è una parentesi strumentale in cui riaffiorano le dissonanze Avant-garde Jazz sentite in “Amusia”, mentre “Alterazione” si distingue come l’interpretazione più canonica, ma non per questo scontata, del Black Doom ascoltata finora. “Alluccinazione” è un altro lungo brano in cui il Metal estremo fa il paio con un oscuro “Post-Everything”, in particolare nell’accelerazione della seconda parte, non lontana dai momenti più abrasivi di Alcest e Lantlôs. L’outro strumentale “Ricordo” chiude l’album su malinconici arpeggi di chitarra.

“Amusia” è certamente una proposta ostica: richiede dedizione e propensione a calarsi in ripetuti ascolti per essere compresa, con il rischio di non riuscirci. La sua intelligenza è al tempo stesso debolezza e forza: se da una parte esclude a priori un’ampia fascia di fruitori della musica estrema interessati a formule più immediate, dall’altra è in grado di soddisfare quei palati che prediligono, o comunque non disdegnano di tanto in tanto, soluzioni che permettano di “staccare la spina” e rallentare, lasciandosi andare a momenti di riflessività.

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