Recensione: Aria

Di Andrea Loi - 6 Maggio 2009 - 0:00
Aria
Band: Asia
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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86


Per chi scrive la “versione” anni Novanta degli Asia, quella del ritorno alle scene dopo anni di oblio e incertezze, ha sempre rappresentato una validissima proposta che affatto sfigurò nei confronti del super-gruppo capace di strabiliare il mondo del rock agli inizi degli eighties.
D’accordo, il debutto self-titled del 1982, dalle sapienti architetture che ben miscelavano un AOR con sfumature Prog, brillantemente riadattate secondo la lezione impartita da Yes / EL&P , fu da annoverare nei super-classici del rock di ogni tempo e qualcuno obietterà pure che un quartetto d’eccellenza come Wetton-Downes-Howe-Palmer, è difficilmente comparabile nella scena musicale.

Ma l’ascolto di “Aria” quinto album in studio del gruppo, rilasciato nel 1994, aiuta a dissipare (se mai ce ne fosse stato bisogno), tutte le perplessità sul valore della proposta musicale del nuovo corso.
Questo full-length, ricordiamolo, fu il secondo con il cantante John Payne e vide l’esordio del chitarrista Al Pitrelli (Savatage, Alice Cooper). Il primo, quello del come-back, intitolato “Aqua”, ebbe un inatteso successo sia al cospetto della critica che al botteghino. Questo tenne in vita la band incoraggiando la prosecuzione di un discorso che riproponeva l’ampiamente collaudata formula di un hard fortemente impregnato di maestose melodie e debitore alla tradizione Pomp, fatta d’arrangiamenti stellari spesso uniti alla perizia tecnica dei musicisti.
Per la cronaca, questo è anche il primo episodio senza il prezioso supporto del drummer Carl Palmer, impegnato nell’allora celebrata e altisonante reunion degli EL&P.

Nonostante ciò, il gruppo si ripresenta in ottima forma, con quello che è uno dei più significativi prodotti di AOR negli anni Novanta.
Le idee del capitolo precedente vennero ulteriormente raffinate e il sound si presenta nella sua consueta magniloquenza, sempre in bilico tra eleganti melodie AOR e arrangiamenti di stampo sinfonico, che vanno a nozze con l’ottima produzione dei due mastermind Paynes/Downes.
I magazines inglesi, spesso “la prova del nove” per testare la bontà di una nuova release, accolsero al tempo molto bene il nuovo sodalizio e nonostante l’ingombrante e glorioso passato di cui si diceva prima, gli sforzi profusi per questo platter si concretizzarono nuovamente con buoni riscontri commerciali e, appunto, una critica benevola.
Difficile trovare anche a distanza d’anni un punto debole in questo disco mirabilmente prodotto, suonato con gusto e dall’approccio così elegantemente “easy listening”.

I quasi cinque minuti dell’opener “Anytime” (primo singolo rilasciato), danno subito il polso della situazione. Energica e vibrante, è una perfetta sintesi di come trame tipicamente di matrice melodica rendano al meglio se intrise di momenti di solenne epicità. Il chorus e la voce di Payne fanno il resto: altamente coinvolgenti e lontani da banalità e stereotipi sui quali molti cantanti e gruppi pagano pegno.
La successiva “Are You Big Enough?”, non sposta di una virgola quanto detto prima: song decisamente keyboard-oriented e dalle connotazioni quasi teatrali, risulta molto ben orchestrata nell’esecuzione dalle forti influenze Pomp.
“Desire” è uno dei momenti più altisonanti dell’album: un mid-tempo in crescendo assolutamente di grande prestigio. La canzone ha nel suo trionfale chorus, costruito su affascinanti backing-vocals, il momento più esaltante.
È questo senz’altro il punto di forza di tutto il disco: grande classe unita a sontuose melodie di grande prestigio e di immediata assimilazione ma lungi dall’essere banali, scontate o forzate.
Questo denota anzi una facilità compositiva nel proporre pezzi scorrevoli e di grande impatto.
“Summer” e “Sad Situation” sono altri due esempi che dimostrano come l’album non presenti momenti di stanca e risulti godibilisismo.
La prima è un mid-tempo che si avvale di un gradevole assolo di Al Pitrelli, mentre la seconda si sviluppa su tinte più drammatiche e meditate.
“Feels Like Love” è un altro grande pezzo: una semi-ballad molto suggestiva, magistralmente interpretata da Payne la cui voce raggiunge un lirismo che colloca il pezzo su una dimensione emotiva di grande effetto.

Ma è il crescendo di “Enough’s Enough” con la sua straripante carica epica, rappresenta forse il momento più affascinante e coinvolgente del disco. Azzeccattissimo il chorus impregnato di intrecci vocali che raggiungono un lirismo suggestivo e dalle forti tinte emozionali.
L’anthemica “Military man” è sulla stessa lunghezza d’onda. Il brano, cavallo di battaglia negli show del gruppo, è forse il momento meglio riuscito del platter: il suo incedere tipicamente “marziale” e solenne ha l’apoteosi nell’avvincente ritornello.

L’edizione in mio possesso della Snapper Music, prevede anche la bonus-track “Reality” che nulla toglie e aggiunge ad un disco sicuramente ben strutturato e ispirato.

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Tracklist:

01. Anytime
02. Are You Big Enough
03. Desire
04. Summer
05. Sad Situation
06. Don’t Cut The Wire (Brother)
07. Feels Like Love
08. Rememberance Day
09. Enough’s Enough
10. Military Man
11. Aria
12. Reality (bonus track)

Line Up:

John Payne – Voce / Basso / Chitarra / Cori
Geoff Downes – Tastiere / Cori
Al Pitrelli – Chitarra
Michael Sturgis – Batteria e percussioni

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