Recensione: Autumn’s Child

Di Fabio Vellata - 26 Aprile 2020 - 0:05
Autumn’s Child
Etichetta: AOR Heaven
Genere: AOR 
Anno: 2020
Nazione:
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81

Uscito da qualche mese (fine gennaio), il disco d’esordio degli Autumn’s Child non sarà probabilmente sfuggito alla mira degli ascoltatori appassionati di materiale melodico dalla chiara matrice europea.
Il moniker, in effetti, già da par suo recava suggerimento di quello che sarebbe stato il contenuto dell’album.
Nulla a che vedere con l’autunno, gothic rock o atmosfere plumbee, ovviamente. Piuttosto, spostandoci appena oltre con l’intuito e la fantasia, un filo diretto con quello che è stato uno dei progetti più prolifici in ambienti melodici degli ultimi quindici anni, ovvero i deliziosi e molto apprezzati Last Autumn’s Dream.
Il gruppo guidato dal frontman Mikael Erlandsson, a far corso dal 2003 e sino al 2018 è stato autore di ben quattordici capitoli discografici: esordi scoppiettanti, una carriera infarcita di uscite solitamente di alto profilo, arrivate però sul finale con il fiato un po’ corto.
Evidente come – negli ultimi due / tre album in particolare – la vena creativa mostrasse parecchi cedimenti, avvitandosi su melodie sin troppo scontate ed un incedere stanco, quasi demotivato.
La fine, probabile, di un percorso talora entusiasmante che tuttavia, a causa forse di uno sfruttamento a dir poco intensivo, stava giungendo al termine.

Pensieri che immaginiamo essersi affastellati nella mente di Erlandsson, culminati con la decisione di mandare in soffitta i Last Autumn’s Dream (non sappiamo se in via definitiva o meno), per inaugurare una nuova vita artistica a cavallo di una band rinnovata. All’interno della quale ritrovare soprattutto gli stimoli ormai arrugginiti ed in parte perduti.
Ecco quindi nascere gli Autumn’s Child, emanazione diretta di una realtà musicale che ha regalato molte soddisfazioni; a far compagnia al mastermind svedese, un nucleo di musicisti rodati ma totalmente rivoluzionato, proveniente da esperienze di grande prestigio tra cui si segnalano l’attuale tastierista degli H.E.A.T., Jona Tee, e l’ex batterista degli Eclipse, Robban Back.
Il virtuoso Pontus Åkesson dei Moon Safari alla chitarra e Claes Andreasson degli Heartbreak Radio al basso,  completano la line-up.

Siamo però onesti. A naso, avremmo quasi potuto scommettere su quello che avremmo ascoltato. Sufficiente osservare la copertina per farsene un’idea: cambia il nome impresso, ma questi, in fondo, sono sempre i Last Autumn’s Dream. Lo si intende proprio a partire da un artwork colorato che è presagio di atmosfere vivaci ed esuberanti.
Magari restaurati, rinvigoriti con un’iniezione di maggiore freschezza, presentati con un nome diverso. Ma la sostanza rimane comunque inalterata: il songwriting che ha marchiato una carriera non si cambia e non si snatura con un semplice cambio di nome.
AOR scandinavo di grande classe quindi, forse in questo caso, solo un po’ meno mieloso e maggiormente frizzante di quanto potesse essere rappresentato nell’esperienza precedente.
E dopo tutto, sempre un gran bel sentire.

Va da se che, trattandosi di un album che è prosecuzione diretta proprio dei Last Autumn’s Dream, pregi e difetti – anche loro – rimangono pressoché inalterati.
Una evidente piacioneria di fondo, occhieggiante al pop elegante ed all’easy listening, sono elementi che potrebbero al solito causare motivo d’irritazione ai fruitori di sonorità decisamente più accese ed arrembanti. L’idea musicale di Erlandsson si basa su melodie facilissime ai limiti del commerciale, nulla che possa dunque sorprendere.
Di contro però, la fruibilità con cui si manifesta questo atipico esordio è massima: si va dall’AOR classico a tema scandinavo (“Rubicon Sign”, “Everytime“, e “I’m Done” su tutte), per sconfinare nel melodic rock vicino ai Talisman di “Glory” e “Cryin’ for Love“.
Ma è soprattutto in brani evidentemente ispirati, che qualcosa devono ai Queen (ed in parte all’ELO), che il disco prende davvero quota, mettendo a segno una serie di composizioni che dal songbook di Erlandsson non ascoltavamo più da tempo.
Victory”, “Face The Music”, “Northern Light“, “I’m Done” e “Breaking my Heart Again” sono piccoli capolavori di melodia assoluta, quella che spinge ad alzare il volume e a volare, almeno con la fantasia, in un mondo ovattato fatto di sensazioni calorose ed atmosfere accoglienti.
Come un’estate radiosa, una visione carica di luce: positività e voglia di vivere, qualcosa che, in tempi grami come quelli attuali non può che rappresentare un balsamo per la mente e per l’anima.

Suonato per l’intera durata a livelli stellari e prodotto con classe, “l’esordio” (il virgolettato è d’obbligo) degli Autumn’s Child centra, insomma, l’obiettivo alla grande.
Bizzarro pensare come, a volte, basti poco per ritrovare inventiva, intensità ed ispirazione. Un semplice cambio di nome e la statura superiore di un grande songwriter come Erlandsson si è magicamente riaccesa, esaltandosi in una serie di canzoni che, ascolto dopo ascolto, convincono sempre di più: un gran bel rientro in scena.

Qualora non assaporato in occasione della sua recente uscita, “Autumn’s Child” è un disco che sarebbe bene recuperare, soprattutto a vantaggio degli amanti delle sonorità descritte.
Sottovalutarlo o passarlo sotto silenzio sarebbe davvero un peccato…

 

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