Recensione: Babylon
Nell’universo Heavy Metal sono parecchi i musicisti che non fanno distinzione tra la teatralità del palco ed il proprio stile di vita. Tra coloro che, purtroppo, non ci sono più, possiamo citare il selvatico Bon Scott, nostro fratello maggiore a cui nessuno poteva dire cosa fare, Lemmy, la vera incarnazione dello spirito del Rock ‘N’ Roll, Paul Di’Anno, ribelle a tal punto da autodistruggersi e poi colui che di recente ha fatto piangere tutti con una sola canzone, Nonno Ozzy. E tra chi, grazie al cielo, è ancora vivo: l’eccentrico Steven Tyler, il burbero Dee Snyder, il signore Rob Halford, colui che ha dato all’Heavy Metal la sua divisa, la Regina Doro Pesch … e molti altri ancora … tutti personaggi ai quali, c’è poco da dire, ci siamo affezionati.
E chi non vuole bene al “colonello” Udo Dirkschneider, il burrascoso cantante dalla voce ruvida, impetuosa e unica che, prima con gli Accept e poi con i suoi U.D.O., ha scritto un pezzo ampio e fondamentale della storia dell’Heavy Metal? Dal 1968, anno d’inizio della sua carriera artistica, ha pubblicato circa una trentina di album in studio, più dischi dal vivo, video, varie compilation e la partecipazione ad un numero incalcolabile di collaborazioni … insomma, un personaggio instancabilmente votato alla causa.

Udo, insieme agli Accept, ha creato una formula sonora semplice ma efficace che, insieme alla sua voce, è diventata il marchio distintivo della band: non importa che il brano sia tirato all’estremo oppure sia una ballata, il refrain deve essere ricco di impetuosi cori anthemici, potenti ed energici che non ti si schiodano più dalla testa neanche usando un piede di porco.
Formula che poi ha continuato ad usare anche con gli U.D.O., ripetendola quasi all’infinito, realizzando a volte album fondamentali (come ‘Animal House’ o ‘Faceless World’), altre volte semplicemente buoni, altre ancora solo ordinari, mai comunque disastrosi.
Ma qui si va oltre il semplice concetto di successo musicale, quello che maggiormente conta è che Udo, in tutti questi anni, è sempre rimasto fedele a sé stesso e all’Heavy Metal che incarna al 100% ed è anche per questo che gli siamo affezionati. Alla fine, non importa se quando senti una sua canzone te ne vengono in mente altre 10 ascoltate prima, perché comunque, con la sua voce scorbutica ed irosa, i riff taglienti, gli assoli melodici ed i cori forti, riesce sempre a tenerti vivo.
Anche questo nuovo album, dal titolo ‘Babylon’ e che esce sotto il monicker Dirkschneider And The Old Gang (o DATOG), giusto per sottolineare che è un lavoro di gruppo e non un album solista, non sfugge alla tradizione.
Progetto nato nel 2020 per aiutare gli artisti sofferenti a causa del COVID, i DATOG sono composti, oltre che da Udo, anche dagli amici di lunga data: Peter Baltes (Accept, U.D.O.), Stefan Kaufmann (Accept, U.D.O.) e Mathias “Don” Dieth (U.D.O., Sinner) e poi dal figlio Sven alla batteria e da Manuela “Ella” Bibert (Engelsgleich) alla voce, artista kazaca che aveva già partecipato alla registrazione dell’album ‘We Are 1’ del 2020, collaborazione tra gli U.D.O. e l’orchestra delle Forze Armate Tedesche.

La forza di ‘Babylon’, il suo elemento distintivo, sta proprio nell’aver voluto combinare la voce particolare di Udo con quelle di Peter Baltes e di Ella, dando luogo a dei bei dialoghi sonori, soprattutto quando alla ruvidezza si contrappone la teatralità.
Le voci non sono state divise equamente, più che altro a ciascuno è stata affidata la sua parte a seconda della natura del pezzo, con il cantato di Udo preponderante, ma questo comunque stempera leggermente l’aggressione sonora del disco, rendendolo più fruibile. È come se fosse stata cercata una sorta di duttilità, fatta apposta per ampliare lo spettro di pubblico senza però risultare troppo ruffiani, ulteriormente incrementata dall’uso di orchestrazioni che, pur non sovrastando la carica elettrica delle chitarre, riempiono ed ammorbidiscono il suono. In pratica, ciascun brano di ‘Babylon’ potrebbe essere un singolo mainstream, come dimostra anche il progetto di produrre, nel tempo, un video per ciascuno di loro.
Intendiamoci, non è che la vecchia guardia si sia rammollita, ‘Babylon’ resta comunque un album di puro Heavy Metal, con una scaletta classica che più classica non si può, fortemente allacciata al passato sia degli Accept che degli U.D.O.: dall’apertura spedita carica di adrenalina, con un tiro selvaggio che taglia in due, di ‘It Takes Two to Tango’ al mid-tempo pesante ed esotico della Title-Track; dall’andatura marziale, con un basso che s’infila tra le costole, di ‘Hellbreaker’, alla ballad che non manca mai, malinconicamente dura, con tanto di pianoforte e chitarre acustiche (‘Strangers in Paradise’), anzi, in questo album ne abbiamo due di ballad, c’è anche ‘Blindfold’; più tutti gli inni da palco che si possono immaginare, tra cui spicca ‘Metal Sons’, dal titolo inequivocabile.
Insomma, Udo continua a fare l’Udo (anche perché ha degli amici che gli consentono di farlo bene), riuscendo a farsi apprezzare ancora una volta. ‘Babylon’, pur se non dice nulla di nuovo e non rompe nessuno schema, è un album ricco, anche complesso musicalmente, con un sacco di armonie e begli assoli (d’altronde la classe di questi storici musicisti non è proprio acqua …), composto da canzoni la cui struttura può essere magari un po’ scontata, ma con all’interno un sacco di sofisticati dettagli, come la voce soul di Ella che entra con prepotenza nel finale della già citata ‘It Takes Two to Tango’ o l’effetto wah wah che irrompe nel refrain esplosivo di ‘Dead Man’s End’, od ancora l’atmosfera oscura che emana la lunga ‘Beyond the End of Time’, tutti elementi che lo arricchiscono e che ne amplificano il coinvolgimento.
‘Babylon’ ha anche un aspetto molto ‘live’, con una produzione che rende i suoni puliti e vividi ma non piatti ed impersonali, mettendo in luce la viva passione per la musica Metal di questo pugno di veterani che ha detto tanto ma che non intende assolutamente fermarsi, mantenendo vivo il titolo di un album che qualcuno di loro ha fatto uscire ben 40 anni fa: ‘Metal Heart’, per sempre.
