Recensione: Battle Of Ice

Di Manuel Gregorin - 26 Gennaio 2023 - 8:00

Secondo capitolo per i Magic Opera, ambizioso progetto musicale nato nel 2019 per iniziativa di Marco Garau, tastierista dei lombardi Derdian. Dopo l’esordio del 2021 intitolato The Golden Pentacle, ecco giungere a gennaio 2023 il successore Battle Of Ice, dove ci viene ancora proposto un symphonic power metal sulla scia di nomi come Rhapsody Of Fire, Epica, Kamelot e Majestica. Le tematiche trattate sono sempre a sfondo fantasy e riprendono la storia, creata dalla penna di Garau, narrata nel capitolo precedente. Vengono raccontate le cronache del regno di Amtork, che funge da teatro alla lotta tra i due maghi protagonisti che stanno ad impersonare il bene ed il male. Rispetto a The Golden Pentacle ci sono stati dei cambi di formazione: i due chitarristi Matt Krais e Gabriel Tuxen vengono sostituiti da Luca Sellitto (Stamina) ed Enrico Pistolese (Derdian, Sick Society), il quale passa alla chitarra lasciando il posto di bassista al nuovo entrato Ollie Bernstein (Illusion Force). Per il resto rimangono al loro posto lo stesso Marco Garau, Anton Darusso e Salvatore Giordano rispettivamente ad occuparsi di tastiere, voce e batteria. L’album inoltre è stato mixato da Roland Grapow (ex Helloween, Masterplan) presso i Grapow Studio e masterizzato dallo stesso Garau.

Come già specificato, Battle Of Ice percorre ancora la strada del power metal sinfonico ed orchestrale, colonna sonora ideale per l’epopea narrata in questa seconda parte della storia.
Il power melodico dall’attitudine trionfale e solenne di The Black Sorcery e The Cursed Crown aprono le porte del regno di Amtork dove una valanga di riff trionfali e pompose sonorità dal sapore barocco, avvolgono l’ascoltatore già dalle prime battute. I brani si presentano con una struttura molto teatrale con chitarre corpose ed un cantato melodico dall’impostazione fiera e maestosa. Non mancano poi cori e controcori dal sapore operistico dove si strizza l’occhio alle atmosfere wagneriane. Nei pezzi poi trovano ampio spazio diversi passaggi strumentali ed assoli incrociati. Tastiere e chitarre sembrano duellare all’ultima nota, quasi a voler emulare le epiche battaglie tra i due maghi protagonisti della storia.

Man mano che si procede con l’ascolto emerge sempre di più il piglio operistico. Questo a testimonianza di quanto il nome Magic Opera non sia stato scelto solo perché suonava bene, ma perché rispecchia ampiamente l’essenza di questo progetto.
The Legend Of The Demon Cry e Ride Into The Sun volano sulle ali del power metal di scuola Rhapsody con melodie gloriose unite ad acrobazie strumentali. Assault On The Castle invece, è un mid tempo dall’andamento marziale che trova il suo apice nel epicissimo ritornello.

Ritmi serrati e chitarre corpose fanno da cornice agli scenari narrati dalle voce di Anton Darusso che ben si destreggia tra melodie eroiche, passaggi più aggressivi e qualche sfuriata in growl, dando così vita a varie sfumature della sua interpretazione.
La prova della band è molto convincente e mette in evidenza una buona intesa tra i vari membri. La formazione infatti affonda le sue solide radici nei Derdian, compagine dalla quale provengono ben tre dei musicisti coinvolti.
La sezione ritmica veloce e precisa costituisce delle robuste fondamenta per le partiture eseguite da Garau, Sellito e Pistolese. Va anche detto però, che in certi frangenti si è forse ecceduto un po’ con gli assoli ed i passaggi strumentali, i quali nonostante siano eseguiti in modo impeccabile tendono, a volte, a dilungarsi più del dovuto, rischiando di far annoiare l’ascoltatore.

White Dragon inizia come una ballad con la voce accompagnata dalla tastiera di Garau per un minuto abbondante, per poi accelerare improvvisamente raggiungendo le vette di un power veloce con i soliti assoli incrociati di chitarra e tastiere.
Di seguito arriviamo al vero momento soft di questo lavoro: The Snow Man è una gradevole ballad sognante e soffusa. Si torna a cavalcare l’onda power metal prima con la moderata The Book Of Evil, poi con la veloce Under Siege. In chiusura la title track, una suite di undici minuti che racchiude in sé tutti gli elementi ascoltati in questo lavoro.

Sì conclude così Battle Of Ice, anche se quel “but for how long” scritto alla fine della storia narrata – la trama del concept la trovate sul sito della band – lascia intendere che sia lecito aspettarsi un terzo capitolo.
Un lavoro pomposo e teatrale, ricco di parti sinfoniche che farà la gioia degli amanti del genere. Come già detto però, la presenza di numerosi passaggi strumentali, uniti alla durata del disco, può renderne un po’ ostica la fruizione ad una fetta di pubblico.
Particolare non da considerarsi in realtà un vero difetto: è evidente come fosse nelle intenzioni di Garau realizzare dei brani con queste caratteristiche.

Battle Of Ice è, in ogni modo, un prodotto maggiormente indicato per quella cerchia di fans appassionati dalle sonorità symphonic e neoclassiche che in questo secondo capitolo troviamo in abbondanza.
Per tutti gli altri un avvertimento che non è da intendere come un modo per sconsigliarne l’ascolto: per apprezzare Battle of Ice sarà necessaria un po’ di pazienza e qualche passaggio in più.

 

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