Recensione: Beyond the Gates of Hell
Al terzo disco, i francesi Rising Steel sono ormai una solida certezza. Potete scommetterci: vi regaleranno il solito, potente heavy metal ottantiano, con qualche spruzzata di thrash d’annata, NWOBHM (che non guasta mai) e pure melodie un poco Nevermore.
Nel complesso, questo Beyond the Gates of Hell, che davvero pare uscito nel 1987, offre momenti gustosi, ma davvero troppo (troppo) canonici per poter aspirare ad avere una vita che sia poco più che effimera. Temo proprio che non bastino il discreto ritornello della title-track, o il riff dinamico della pur buona From Darkness a salvare un disco che, in buona sostanza, è identico a sé stesso dalla prima all’ultima nota.
Va detto, tuttavia, che il vero metallaro non si è mai ripreso dall’uscita di Nevermind e nega che gli anni Ottanta siano davvero terminati. Ecco, dunque, che una Life Awaits potrà anche piacere, con quel suo respiro così retro e un groove così tanto classico.
Certo che Run For Your Life davvero colpisce nel vuoto e così via fino alla conclusiva, cadenzata ed epicheggiante We Are Free, passando per la cavalcatona Beast e una Skullcrusher che pare uscita dal manuale del perfetto headbanger.
Insomma, Beyond the Gates of Hell non è un disco memorabile, ma un onesto prodotto scritto e suonato da una band capace, non pretenziosa e, soprattutto, onesta. I Rising Steel ci credono e si sente; ed è questa fiducia amorevole nell’heavy metal che, in conclusione, me li rende simpatici, al punto che, quasi paradossalmente, una volta che Beyond the Gates of Hell ha finito di girare sulla mia playlist, quasi mi viene la voglia di ascoltarlo di nuovo, un po’ come quando si prende gusto a crogiolarsi nei ricordi di un tempo bello e, ahimè, lontano. Ecco: i Rising Steel sono una madelaine dell’heavy metal, forse non proprio fresca di pasticceria, ma comunque sempre gustosa. Assaggiateli.
