Recensione: Songs from the Restless Oblivion

Trent’anni di carriera, accompagnati dalla produzione di sei full-length l’ultimo dei quali s’intitola “Songs from the Restless Oblivion“. Questa, in estrema sintesi, la storia dei Memories Of A Lost Soul.
Va da sé che in tutti questi anni, nell’ambito del metal estremo, si siano susseguite le nascite di nuovi generi e sottogeneri. Ciò ha potuto aiutare la band italiana a sviluppare ed evolvere il proprio stile sì da addivenire a qualcosa di variegato se non caleidoscopico, venato da influenze che, alla fine dei conti, hanno determinato un sound ricco di sfaccettature. Magari non rivoluzionario ma sicuramente personale e ben delineato in tutti i suoi contorni; adulto, figlio di una irreprensibile tecnica strumentale e di un cospicuo retroterra culturale.
Retroterra che involve fondamentalmente tre generi: black metal, gothic e death metal. Ora, disquisire su chi sia venuto prima e chi dopo, e di come si siano aggrovigliati alla clessidra che scandisce il trascorrere dei secondi non è un’operazione rilevante, almeno a parere di chi scrive. Ciò che importa è come siano i Memories Of A Lost Soul adesso. Death metal, allora, nella sua forma melodica, accompagnato da leggeri ma ben percepibili arieggi di black ma soprattutto gothic metal.
Il che conferisce alla musica dell’album una meravigliosa vena di struggente malinconia, che pulsa magari non dappertutto ma ch si fa sentire molto spesso. Ma quando il cuore comincia a lacrimare ecco che allora si fanno strada, fra i singulti, brani come “Darkness Within“, per esempio. La bravura dei Nostri, qui, emerge con prepotenza fra orchestrazioni, sovrapposizione di voci per linee vocali aggressive nel loro svilupparsi fra (tanto) growling e (poche) harsh vocals. La potenza in gioco è elevata, tant’è che, quando si accelera, si superano agevolmente i confini dei blast-beats (“Immortal Rites“). Poi, improvvisamente, il ritmo cala vertiginosamente per dar vita a segmenti in cui si penetra nell’anima alimentando le emozioni più profonde che danno vita ai sentimenti che pervadono l’opera.
Tornando sul discorso della melodia, essa si presenta con una fisionomia a sé stante nel senso che non è né catchy, né rinvenibile nelle forme più classiche del melodic death metal, tipo gothenburg metal o altro. No, lo sviluppo delle parti armoniche è originale, rimandabile soltanto al combo calabrese. Capace, quindi, di escogitare e quindi comporre suddivisioni in cui l’ascolto scivola nel mare della malinconia. Aiutato, per questo, da una voce femminile che compare fra le note (“Through These Mortal Eyes“, “The Clockwork Part 2“) ma non sempre.
Tutto quanto sopra, tuttavia, non deve ingannare: la band di Reggio di Calabria pesta duro, molto duro; come peraltro si è più su accennato. La chitarra ritmica svolge il suo compito in una maniera che si avvicina parecchio a quello del thrash, formando con gli altri elementi che compongono la band stessa un sound massiccio, potente, granitico. Anche quando il pianto sgorga copioso per via di qualche melodia che scatena nostalgici ricordi del tempo che fu – grazie, in primis, allo splendido lavoro di Buzz alla solista – , il sound si mantiene sempre solido, roccioso.
L’intermezzo strumentale “Requiem of Eternal Souls“, divide sostanzialmente a metà il disco per un altro gruppo di brani dall’alto peso specifico. L’importanza di Buzz quale vocalist è una delle caratteristiche peculiari dell’LP poiché, con la sua matura consistenza e decisione, prende con mano ferma i suoi compagni per condurli senza indecisioni e senza paura nei meandri più oscuri dell’esistenza (“Into This Maze of Torment“). Dando alla luce, fra l’altro, a innumerevoli assoli dal pregio notevole che, come un filo dorato, cuciono le ferite dell’esistenza. Le quali si aprono alla morte dei sogni più felici, metafora così ben musicata da “Melancholy of the Endless Night“, closing-track strumentale / ambient.
“Songs from the Restless Oblivion” è un lavoro che dimostra, semmai ce ne fosse stato bisogno, la completezza dei Memories Of A Lost Soul. Maturi nell’aver sviluppato un proprio stile, abili nel miscelare fra loro vari generi e sottogeneri per un sound sempre accattivante senza essere mai sdolcinato; capaci di avere composto un insieme di canzoni tutte interessanti, ricche di particolari da scoprire a poco a poco.
Daniele “dani66” D’Adamo