Recensione: Blasphemy Made Flesh

Di Matteo Bovio - 25 Dicembre 2001 - 0:00
Blasphemy Made Flesh
Band: Cryptopsy
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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80

Ci troviamo di fronte all’esordio di una delle più celebri Brutal-Death metal band di sempre, i Cryptopsy. Questi ragazzi provenienti dal Canada, oramai giunti al loro quarto full-lenght, hanno con questo primo lavoro diviso nettamente pubblico e critica: da un lato chi non ha saputo cogliere ciò che di nuovo avevano da dire, dall’altro chi già sentiva nell’aria odore di capolavoro imminente (che sarebbe giunto con il successivo album). Non mancò infatti chi marcò i Cryptopsy come “l’ennesima gore band americana” o con altre fesserie simili, che il tempo ha dimostrato essere infondate.

Di tutti i quattro lavori questo è senza ombra di dubbio il più canonico, se come riferimento prendiamo i gruppi “normali”. Gli elementi del brutal sono tutti presenti in quantità massiccia, e il gruppo non manca inoltre di perdersi in qualche futilità, tipo sconvenienti intro. Ma da qui al dire che i Cryptopsy sono un clone ne passa di differenza: mi dispiace ma non posso giustificare chi non ha voluto ammettere che già con questa prima release i nostri viaggiavano ben al di sopra della media.

Prendiamo innanzitutto in considerazione la sezione ritmica: Flo Mounier è sì ancora lontano dal fare quello che proporrà in seguito, ma non ricordo nessuna uscita precedente a questo “Blasphemy Made Flesh” che lo superi in velocità… Non parliamo poi del cantato di Lord Worm, che pur non uscendo da nessuno schema dimostra di saperci veramente fare. Insomma, questo CD ha preso delle stroncature assolutamente ingiustificate, ed è stato rivalutato solo con il senno di poi. Forse anch’io tutt’oggi nello scrivere questa recensione mi sono fatto influenzare molto dal nome, ma sono altrettanto sicuro dell’enorme potenza che ogni ascolto di questa release fa esplodere; ed era solo un esordio…

Il CD si apre con “Defenestration”, probabilmente il miglior pezzo, destinato a rimanere uno dei più proposti in sede live dal gruppo. Anche solo da un breve ascolto a questa introduzione non potrete negare l’effettiva validità della proposta. Ignorate, se volete un consiglio, quanti vi dicono che è un album come tanti altri, sul quale si può sorvolare. Onore piuttosto ad un CD che pur non essendo un capolavoro resta un più che buon esempio di come si suona Brutal, alla faccia di tutti quei cloni dei Cannibal Corpse che ogni giorno invadono il mercato con le loro inutili proposte.
Matteo Bovio

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