Recensione: Blood and Gold

Di Fabio Vellata - 29 Aprile 2020 - 0:05
Blood and Gold
Band: Ivanhoe
Etichetta: Massacre Records
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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73

Degli Ivanhoe abbiamo parlato spesso.
Nonostante siano stati uno dei gruppi più interessanti e talentuosi dell’ondata prog europea anni ’90, i tedeschi hanno visto le loro quotazioni perdere totalmente di prestigio dopo i primi album ed il temporaneo scioglimento avvenuto nel 1997. Rimessa in piedi dal fondatore, il bassista Giovanni Soulas, con una formazione molto cambiata, la band non ha, in effetti, praticamente mai saputo ripetersi ai livelli degli esordi, sanciti dal delizioso debutto del 1994.
Ancor oggi annoverato tra i capolavori seminascosti del prog metal, “Visions and Reality” era un gioiellino di melodia, raffinatezza e buone idee, tale da aver fatto credere d’aver trovato un credibile rivale “continentale” alla crescente egemonia proposta allora dagli sfolgoranti Dream Theater.

Un contrasto molto marcato nei confronti delle release più recenti, generalmente trascurabili quando non proprio mediocri. Prive di motivi d’interesse, per lo più esempi insipidi di un prog metal sterile e senza costrutto, destinato ad essere dimenticato dopo pochi passaggi.
Eppure, forse proprio grazie all’eredità maturata in tempi più remoti, gli Ivanhoe hanno ancor oggi qualche barlume di credibilità da spendere presso le case discografiche del vecchio continente. Un biglietto da visita forse sbiadito, ma che ha comunque permesso loro di pubblicare con tenacia nuovi album, ormai visti dai vecchi fan del genere con un misto di diffidenza, romanticismo e speranza.
Come a dire che una volta erano bravissimi, ultimamente han fatto schifo ed il ritrovarli ancora in scena nonostante le batoste collezionate negli ultimi dieci anni possiede, dopo tutto, il sapore malinconico di chi non vuole arrendersi mai.
E chissà che, da qualche parte, un giorno, riescano pure a pescare un jolly e proporre un cd degno di un blasone impolverato ed in decadenza.

In effetti, la buona notizia è che, “Blood and Gold“, cd che porta a otto il numero delle release da studio degli Ivanhoe, è un disco “solido”. Finalmente, verrebbe da dire.
Non un capolavoro, non un album memorabile, non un prodotto da poll di fine anno. Ma comunque “solido”. Ascoltabile. Con più d’un motivo d’interesse.
Le canzoni sono al riparo dalla tediose incertezze che avevano caratterizzato i precedenti “Systematrix“e “7 Days“; il songwriting appare meglio focalizzato e l’ansia perenne, quasi claustrofobica, che si era diffusa sulle ultime, altalenanti, uscite, un alone morboso dimenticato pressoché del tutto.
Meno spigoli o situazioni difficili da interpretare che in realtà celavano pochezza d’idee: piuttosto un buon prog metal dotato di una certa dose di tecnica e qualche raffinatezza. Una volta tanto deciso e diretto al punto, scevro da sperimentazioni senza senso.
La sensazione è che il quintetto teutonico abbia voluto distanziarsi definitivamente dai Dream Theater per trarre ispirazione dall’efficace percorso intrapreso dai Queensrÿche in tempi recenti. Non è dato sapere se la dipartita del chitarrista storico Chuck Schuler abbia inciso in qualche misura, fatto sta che alcuni brani esibiti in “Blood and Gold” li ricordano davvero da vicino. “Martyrium“, “Midnight Bite” e “Broken Mirror” sono ottimi pezzi, di un livello che credevamo divenuto impossibile per un disco degli Ivanhoe.
La produzione ed il minutaggio delle canzoni, mai eccessivo e probabilmente pensato per risultare quanto possibile immediato, aiutano poi a conferire freschezza ad un cd che in tal modo diviene performante e dinamico.
Piace di più anche la voce di Alex Koch, ora meglio inserita nel contesto: lo dimostra il pregevole lavoro svolto con “If I Never Sing another Song“, cover di un vecchio brano degli anni settanta, reso celebre dal crooner britannico Matt Monro.

C’è ancora qualche momento di stanca, ma il profilo complessivo è incoraggiante.
Un barlume d’inventiva, una scintilla che temevamo perduta per sempre è arrivata ad illuminare una strada che negli ultimi anni si era fatta sempre più buia e pareva senza via d’uscita.
Blood & Gold”, capitolo numero otto di una storia quasi trentennale è, in buona sostanza, un disco a cui non si nega un ascolto. Un po’ proprio in ossequio alla memoria ed un po’ nell’illusione speranzosa di cogliere qualche segno di vitalità che faccia presagire un progresso insperato.
C’è la consapevolezza che il passato rimarrà per sempre tale e nessuno potrà mai portarlo indietro.
Ma per una volta, gioiamo di un battito imprevisto che sembra essersi ravvivato senza alcun preavviso.

 

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