Recensione: Breath of life

Di Beppe Diana - 1 Maggio 2002 - 0:00
Breath of life
Band: Magnum
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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77

Attendevo con ansia, e con una certa dose di fibrillazione, il tanto sospirato ritorno sulle scene musicali della coppia Tony Clarkin/Bob Catley, che dopo le indigestioni solistiche il poco fortunato tentativo a nome Hard Rain, ritornano a spolverare il vecchio monicker Magnum, consci che oramai i bei tempi sono passati anche per loro.

Per chi non conoscesse ancora la band britannica, perché sviato da altri interessi, o semplicemente perché li ha sempre denigrati, posso dire che i nostri sono stati, assieme ai grandiosi Queen, fra i maggiori esponenti dell’ondata del così detto rock sinfonico dei primi anni settanta, una delle punte di diamante di cui la scena hard della terra d’Albione ha potuto sempre vantarsi, e che è riuscita a sfornare una quantità enorme di successi musicali contribuendo a scrivere pagine importanti della storia del rock di fine secolo, per mezzo di autentiche gemme che rispondono al nome di “Kingdome of madness”, “On a storyteller night” e “Vigilante”.

Ma come ogni sogno da realizzare, anche i Magnum si sono infranti con le dure leggi della realtà, e vuoi uno scarso interesse da parte di una major che poteva e doveva supportarli a dovere, la Polygram, attratti dal fenomeno alternative che stava prendendo sempre più piede, all’inizio degli anni novanta, il giocattolo Magnum si è inceppato, con il conseguente split dei suoi vari componenti che, come nel caso dei due maggiori artefici del songwriting della band madre, si sono dovuti “accontentare” del semplice ruolo sparring partner, lasciando a noi fans l’eredità di una grande carriera, e quel amaro in bocca del “poteva essere, e non è stato” . Ma si sa, il tempo aiuta a maturare mitigando gli animi e le ambizioni delle persone, e il nuovo “Breath of life” è un concentrato di questi umori/sensazioni che fuoriescono dai solchi di un platter atteso per tanto, troppo tempo.

Certo che il tempo in cui i Magnum smuovevano enormi folli di persone per assistere ai loro concerti, sono svaniti, ed anche il loro stile compositivo non è più quello di una volta, ma sei i molteplici attributi di stima e riconoscimenti giunti soprattutto da molti loro colleghi, non ultimi quelli di Gary Huges dei Ten, da sempre estimatore del combo di Catley, hanno spinto i nostri a tornare sui propri passi, un motivo ci deve pur essere. E si, i Magnum sono tornati a  rivendicare il trono usurpatogli dai vari acts di melodic rock bands che si sono venute a formare nelle ultime due decadi sotto l’influenza esercitata dai loro dischi, e scusate,ma questa è molto più di una semplice auto celebrazione di un mito.

Dodici tracce rivolte ad un’airplay radiofonico molto vasto, ecco di che cosa si compone “Breath of life” che, oltre a restituirci una band in un ottimo stato di salute,segna un’enorme passo a livello puramente qualitativo/musicale rispetto alle prove incolori forniteci dai già citati Hard Rain. Un disco che inspiegabilmente ha attirato su di se un grande senso di perplessità sul valore effettivo di un ritorno così clamoroso, ma credetemi, se saprete seguire il vostro istinto ed andare oltre i soliti pregiudizi di certa pseudo stampa specializzata, vi troverete di fronte a delle ottime composizioni come nel caso della pomposa “This heart”, la più delicata “After the rain” e il melodic up tempo di “The holy touch”. Ripeto, i Manum sono ben consci di quanto sia difficile riuscire a cambiare lo stato delle cose, ma nella vita l’importante è averci provato, perché di attimi fuggenti da cogliere, ne sono rimasti ben pochi!!!!

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