Recensione: Bringer Of Plagues

Di Daniele D'Adamo - 8 Agosto 2009 - 0:00
Bringer Of Plagues
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Anno: 2009
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79

Nati nel 2005 da una costola (il chitarrista Dino Cazares) dei Fear Factory, i Divine Heresy giungono alla loro seconda fatica discografica con “Bringer Of Plagues”, prodotto da Logan Mader e Lucas Banker e registrato agli Edge Of The Earth Studio (Hollywood, CA, USA).
Compagni di viaggio di Cazares sono il cantante Trevis Neal, il bassista Joe Payne ed il batterista Tim Yeung.

Nonostante siano presenti geni che sono parte comune con quelli del DNA del gruppo primigenio più noto e titolato (Cazares ha uno stile caratteristico che è tutto suo, che ovviamente è unico a prescindere dai progetti cui prende parte), è bene chiarire subito che i Divine Heresy posseggono una propria ben definita identità e personalità. 
Personalità che si estrinseca nella definizione di un sound tenacemente ancorato alle forme più estreme del Death, con propaggini che però vanno ad esplorare territori alieni al sotto-genere Metal di cui sopra.
Nonostante il quartetto sia accumunato al Metalcore, l’impatto tremendo che i musicisti riescono a creare con il loro muro di suono farebbe invece pensare più propriamente ad una forma evoluta e pura di Death moderno e maturo.
Naturalmente queste sono solo considerazioni espresse nel tentativo di inquadrare il più correttamente possibile il sound del combo nordamericano; quel che conta, alla fine, è ciò che arriva alle orecchie dell’ascoltatore e, in questo caso, trattasi di onda d’urto dalla rara potenza e dalla geometria ben definita.
Il riffing meccanico, asettico e non-umano di Cazares (una vera fabbrica di riff), quasi completamente scevro da ogni accenno a parti soliste, viene supportato da un lavoro che definire eccellente è poco da parte di Yeung, che instancabilmente cuce il proprio drumming ai riffs iper-stoppati e compressi del chitarrista; particolarmente mediante l’utilizzo, allo stato dell’arte, della doppia cassa.
Ne deriva un amalgama compatto sino all’estremo, massiccio, ma allo stesso tempo notevolmente dinamico e vario.
A questo, fa da cappello il cantato di Neal che, in modo ortodosso, alterna uno scream piuttosto isterico e nervoso a numerose parti in clean, che dimostrano la buona padronanza tecnica del cantante stesso.
Del tutto regolare ed attinente al genere, come spesso accade in questi casi, l’accidentato lavoro al basso da parte di Payne.
Non manca nemmeno la melodia, spruzzata con parsimonia un po’ dappertutto, come non mancano orchestrazioni e parti di Ambient dal sapore “cyber-tech”.

Per quanto riguarda i pezzi, “Facebreaker” apre ferocemente l’album con un assalto all’arma bianca, per poi calmarsi con un refrain in clean dal gusto addirittura “catchy”. La struttura della canzone, non particolarmente complicata, è rappresentativa dello stile del lavoro nel suo complesso, e spesso viene reiterata per mutuare gli altri brani. Notevole, infatti, l’apertura seccamente “meccanica” di “The Battle Of J. Casey”, sottolineata dal mostruoso lavoro del batterista e dal riffing di Cazares, che si cimenta in uno dei rari assoli di chitarra presenti. Dopo lo stacco Ambient di “Undivine Prophecies (Intro)” è di nuovo massacro con la title-track “Bringer Of Plagues”, dominata al solito dal duo Cazares/Yeung, che fuggono a velocità, in certi momenti, parossistiche. Un rifferama devastante, che risente anche di influenze Thrash, si palesa nell’introduzione di “Redefine”, anche se poi la velocità sale verso vette quasi inarrivabili. Ritornello nuovamente pulito ed orecchiabile. Ed a proposito di ritornelli, impossibile non rimanga impresso nella mente quello di “Anarchaos”, ripetuto quasi ossessivamente. Opprimente ed asfissiante, “Monolithic Doomsday Devices” raggiunge un livello di pesantezza quasi insopportabile, alleggerito successivamente da improvvise, violente accelerazioni. Un tocco di “old style” sfiora l’inizio di “Letter To Mother”, che comunque prosegue su linee Thrash/Death dal forte odore di classico. “Enemy Kill” si srotola poi senza infamia ne’ lode, con alcune puntate armoniche piacevolmente inserite nel contesto del pezzo. A seguire “Darkness Embedded”, inaspettato “lento” dalle linee vocali pulite e melodiche che dimostra il talento di Neal, il quale si trova perfettamente a proprio agio nei territori lontani dall’abituale screaming. Una visionaria e futuristica orchestrazione apre “The End Begins”, capitolo conclusivo del disco, denso di toni bui ed oscuri, pesantemente segnato da una sensazione di inquietante pessimismo.

Come frequentemente accade in questo genere, la tecnica è ineccepibile, ed i Divine Heresy non fanno in ciò eccezione, potendo vantare nelle proprie fila due fuoriclasse come Cazares e Yeung, coadiuvati splendidamente da Neal. Ed infatti, da questo punto di vista, non c’è nulla da eccepire. Anche artisticamente, alcune canzoni posseggono una classe non comune, con punte melodiche di assoluto rilievo. Il songwriting, tuttavia, non ha quella omogeneità tale da rendere “Bringer Of Plagues” un “must” del genere. Genere che, attualmente, è inoltre inflazionato da progetti caratterizzati da un groove come quello del quartetto statunitense che, quindi, alla fine, non spicca per l’originalità della proposta.

Daniele “dani66” D’Adamo.

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Tracklist:

01. Facebreaker 3:40
02. The Battle Of J. Casey 3:40
03. Undivine Prophecies (Intro) 1:05
04. Bringer Of Plagues 3:38
05. Redefine 3:44
06. Anarchaos 4:38
07. Monolithic Doomsday Devices 5:22
08. Letter To Mother 3:34
09. Enemy Kill 3:09
10. Darkness Embedded 4:32
11. The End Begins 4:58

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