Recensione: Broken Time

Di Stefano Ricetti - 17 Gennaio 2021 - 0:30
Broken Time
Etichetta: Black Tears
Genere: Vario 
Anno: 2020
Nazione:
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68

Facile, sin troppo facile, definire un’entità musicale horror metal. L’etichetta, quanto di più generico possa esserci nello scibile metallico, abbraccia una miriade di band e di componenti, spesso antitetiche fra loro. Horror metal perché? Per via del look? Dell’iconografia? Dei testi? Dell’attitudine? Della musica? Della rappresentazione alive?

Forse un po’ tutto messo insieme.

Basti ricordare che in tempi non sospetti uno come Alice Cooper si ingegnò coniando lo shock rock, dalla fortissima connotazione cinematografica horror. Altri ensemble, come Coven e Black Widow, percorsero territori meno di pancia, forse più elitari e legati al thrilling ma allo stesso tempo altrettanto ficcanti. Impossibile poi non menzionare la componente glam fornita dagli Agony Bag e anche i sanguinolenti Ripper. In tempi abbastanza recenti i Gwar e Lordi offrirono la versione dissacrante e maggiormente caciarona della tematica. Alle nostre latitudini i campioni incontrastati dell’horror hanno da sempre un nome e cognome: Death SS. E nel tempo hanno contribuito a creare gruppi a loro ispirati, valenti, nella maggior parte di casi. Alcuni nomi? Deathless Legacy, Theatres Des Vampires, P.O.E. (Philosophy of Evil) e, per l’appunto, Damnation Gallery.

Liguri, giungono al secondo full length della loro carriera, dopo il debutto Black Stains del 2018 che era stato anticipato dall’Ep Trascendence Hymn. Broken Time, disco oggetto della recensione, vede la luce per la Black Tears e si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi e le due centrali dedicate alle note tecniche e ad alcuni scatti dei componenti della band. La line-up schiera, perfettamente in linea con il progetto, i nomi di battaglia di Scarlet (voce), Lord Edgar (chitarra), Lord Of Plague (chitarra), Low (basso) e Coroner (Drums).

Broken Time si dimena lungo nove pezzi per cinquanta minuti scarsi di musica. L’impatto è diretto e violento sin dall’opener “Edge Of A Broken Time”. Difficile catalogare il loro genere tout court: la componente heavy di matrice classica si alterna a sfuriate black’n’thrash degne dei migliori Necrodeath facendo comunque leva su di una solida la base Doom. Forti anche le parti in comune con i Deathless Legacy, a livello di tiro.

Da sempre sono convinto che in ambito horror, cimiteriale e catacombale noi non si abbia da imparare niente da nessuno. Death SS, Requiem, The Black, Epitaph, Black Hole, Jacula, Paul Chain Violet Theatre, Impero Delle Ombre e Antonius Rex dettano legge in questo ambito, da sempre e a livello mondiale. La sana tradizione nera va applicata e i Damnation Gallery lo fanno con una discreta personalità e dalla loro vi è la potenza espressa alle casse: pura, violenta e senza compromesso, cosa che depone senza dubbio a loro favore.

Scarlet è un’interprete femminile di livello e il resto della band pesta quanto deve. Broken Time sa dispensare gemme color pece quali la tormentatissima “Nbaya”, la veloce e adrenalinica “Inferno” e la sofferta cavalcata metallica “Iceberg”, posta in chiusura. “Unnamned”, viceversa, vede Steve Sylvester dei Death SS alla voce, dal primo all’ultimo minuto. “Angoscia” è l’unica canzone in lingua madre, affondante nelle radici dei Black Sabbath veloci anni Settanta.

I Damnation Gallery vanno a costituire un ulteriore tassello in quello che è il giù ricco panorama italiano horror di riferimento e Broken Time è un album che suona attuale facendo propria la lezione dei grandi del passato.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti   

 

 

 

 

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