Recensione: Brother Against Brother

Di Manuel Gregorin - 22 Giugno 2021 - 0:01

Due cantanti brasiliani che uniscono le forze in un progetto musicale che infiamma la nostra estate.
E tranquilli: non si tratta dell’ennesimo tormentone di musica latino americana che ci scasserà le orecchie (per non dire altro) fino ad autunno inoltrato, ma dei Brother Against Brother, progetto che mette a confronto due tra le più valide voci della scena metal brasiliana in un lavoro decisamente molto più adatto ai lettori di queste pagine.
Andiamo per ordine: ad occuparsi della pubblicazione è Frontiers che, dopo aver sperimentato la formula del confronto fra cantanti con Allen/Lande o Lione/Conti, pare averci preso gusto a pubblicare album di duetti ed ha quindi ritenuto di riprovarci pure con questo estemporaneo esperimento sudamericano.
Le voci in campo in questo caso sono quelle di Nando Fernandes e Renan Zonta. Il primo è una specie di leggenda vivente sulla scena metal carioca avendo militato già con Sinistra e Lightning Strikes, mentre il secondo è il vocalist degli Electric Mob, nuova promessa del panorama hard rock-metal “brasileiro”.
Insomma, il vecchio e il nuovo a confronto, il passato ed il presente, l’esperienza di un veterano unita alla grinta di un astro nascente. La formazione viene poi completata dal chitarrista Jonas Hornqvist, Michele Sanna alla batteria, cui va ad aggiungersi la regia di Alessandro Del Vecchio – produttore e polistrumentista molto noto nel panorama metal mondiale  – qui impegnato con tastiere e basso, oltre che autore della maggior parte dei brani.

Come si diceva, un progetto musicale che vuole in un certo senso unire l’antico al moderno.
Infatti la base è quella di un metal melodico dalle forti tinte hard rock con dei richiami ai Rainbow del primo periodo, quello con Ronnie James Dio per intenderci. Oltre che, ovviamente, proprio alla carriera solista del compianto elfo di Portsmouth, il tutto riproposto in chiave più moderna e contemporanea.
Confrontarsi con un nome della portata di Ronnie James è certamente un compito impegnativo e oneroso per i due cantanti sudamericani, ma può anche essere una buona occasione per esaltare le loro qualità: in effetti l’accoppiata Fernandes-Zonta non si lascia certo intimorire e si lancia in questa sfida sfoggiando una prestazione convincente grazie alle ottime voci di cui dispone. Più graffiante quella di Fernandez, un po’ più alta quella di Zonta: insieme creano un’interessante miscela fatta di belle melodie, ritmiche grintose ed atmosfere liriche e teatrali.

Le tinte epiche e maestose dei brani fanno da giusta cornice alle suggestive ambientazioni ispirate all’antico Egitto, evocate più volte lungo la durata in quest’opera come si intuisce sia dalla copertina che dal video di “Valley of the King“, scelto come singolo apripista.
Richiami a piramidi e faraoni poi emergono anche dall’ascolto di altri brani quali “Heaven Send” oppure “City Of Gold” dove, specie nella parte iniziale, non si può non rimembrare ancora il Ronnie James Dio di “Egypt (The Chains Are On)” contenuta in quella pietra miliare che è “Last in Line“. Il disco scorre via in un susseguirsi di buoni brani come ad esempio l’accoppiata d’apertura “Two Brothers” e “What If” in cui un hard rock d’annata incontra un certo metallo classico in cui non mancano richiami agli onnipresenti Iron Maiden. Nondimeno interessanti pure “Deadly Sins” e “Whisper in The Darkness“, due composizioni dall’andamento oscuro e cadenzato che non mancheranno di richiamare alla mente la monumentale “Gates Of Babylon” dei già citati Rainbow, complice anche la buona prova della coppia d’attacco Fernandez/Zonta. Di buon livello anche il resto della formazione, con Del Vecchio, Hörnqvist e Sanna a costituire un sodalizio di musicisti validi e preparati.
Il cd scorre via poi alternando qualche episodio più riflessivo come la ballad “In The Name Of Life” a dei mid tempo come “Haunted Heart“. Oppure capitoli più veloci come “Lost Son“, dove la band spinge sull’acceleratore.

Sicuramente un discreto esordio per i Brother Against Brother.
La buona prestazione dei due cantanti Fernandes e Zonta, incornicia un lavoro eseguito con mestiere ed abilità, con un suono pulito ma mai troppo freddo che rischierebbe di togliere pathos alle composizioni.

A voler cercare qualche sbavatura, va ammesso che il prodotto, in più occasioni, offre molto l’idea di preconfezionato e studiato a tavolino: manca istintività. Si percepisce immediatamente come non ci sia granché di spontaneo alla base.
Per il momento niente di tragico che possa compromettere il risultato finale: si vedrà se negli eventuali lavori futuri la band saprà aggiustare il tiro, acquisendo anche un che di maggiormente genuino e personale.
Un debutto comunque positivo che, oltre ad offrire tre quarti d’ora di musica tutto sommato gradevole, può essere una buona occasione per fare conoscere fuori dal Brasile Fernandes e Zonta e puntare i riflettori sulle rispettive band d’origine.

 

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