Recensione: Carnal Cage
L’Europa del Nord, che stavolta si focalizza sulla Lituania, continua a essere fucina inesauribile di band proponenti un genere da molti ritenuto obsoleto invece sempre ricco di novità, perlomeno dal punto di vista discografico: il melodic death metal.
I Mandragora, epigoni di In Flames e compagnia bella, trovano spazio solo ora nell’affollato mercato internazionale – grazie alla label italiana SG Records – con il nuovo full-length “Carnal Cage” anche se, occorre evidenziarlo, in realtà calcano la scena dal 1998 e hanno alle spalle tre demo (“Destiny”, 1998; “MCMXCIX”, 1999; “Posthumous Art”, 2000) nonché un altro album, “At The End”, realizzato in autonomia nel 2005.
Il fatto che i Nostri cavalchino l’onda da ormai tre lustri non è irrilevante: se proprio si deve trovare un aggettivo per sintetizzare al massimo la foggia del loro progetto, difatti, il più attinente fra tutti è senz’altro ‘classico’. E classica è la formazione a cinque (coadiuvata da una tastierista), così come la radice del sound – ricca di richiami all’heavy metal – e, non ultima, la struttura delle canzoni.
I complicati nomi dei musicisti disegnano un pentagono dalle forme massicce e dalle membra robuste ma, anche, capace di tratteggiare con leggiadria arabeschi melodici di tutto rispetto. La coppia di chitarristi si mostra assai affiatata, oltre che tecnicamente buona; capace di mostrare i muscoli con delle robuste ritmiche a riff stoppati e compressi – mutuati dal thrash – ma anche di tirar di fioretto con dei soli suadenti e ricchi di pathos. Il taglio un po’ retrò che Rimas Ganseniauskas e Kiril Demjanenko riescono a dare al proprio sound è sicuramente un valore aggiunto che rende il sound stesso profondo e abbondante di sentimento. Ciò è ulteriormente supportato dal lavoro di Veronika Jašina che, con le sue keyboards, arricchisce e completa un groove caldo e avvolgente. L’ordinaria sezione ritmica svolge con precisione e professionalità il proprio ruolo senza mai strafare ma senza mai sbagliare nemmeno un colpo, mantenendosi abbondantemente entro le velocità stabilite dai canoni dal death metal melodico ed evitando quindi come la peste gli eccessi dei blast beats et similia. Interessante, anche, il sofferto e soffuso growling di Gražvydas Zujus, ben lontano da certe ‘lavandiniche’ estremizzazioni, anzi coerente – per quanto possibile – con le linee musicali di fondo.
La normalità corporale delle nove song di “Carnal Cage” è, poi, un ulteriore elemento di valore, poiché regala una rassicurante sensazione di sicurezza: difficile aspettarsi dei colpi di testa, durante l’ascolto del CD ma, assieme, dei cali di tensione o dei riempitivi senz’anima. L’album ha una sua precisa identità che si manifesta costantemente, pezzo dopo pezzo, segnando così a fuoco un sound né originale né innovativo ma interessante e, soprattutto, accattivante. Se la media qualitativa dei brani si assesta su un valore più che discreto, alcuni di questi escono dal coro. Come l’opener “Masquerade”, vagamente arabeggiante, nobilitata da un break finale dall’armonia superlativa; la lunga “Unconsciousness”, dai toni intensi ed espressivi; la drammatica “Curse Of Existence”, forse la migliore fra tutte; “Sand And Dust”, orecchiabile e maideniana à la “Somewhere In Time”. La spiccata predisposizione del combo di Vilnius, infine, trova compimento nelle morbide e delicate melodie della strumentale “After”.
“Carnal Cage” non sarà un lavoro da annali del metal, tuttavia è ben costruito nel rispetto puntuale dei dettami del death melodico. I Mandragora hanno dalla loro parte una lunga esperienza nel campo e un’indiscutibile abilità nel saper scrivere, con semplicità, delle buone canzoni. In fin dei conti, spesso e volentieri, è questo che conta e, quindi, non si può che consigliare quest’opera a chi non vuole rinunciare a quel particolare disegno di metal estremo tratteggiato a Goteborg tanti anni fa.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Masquerade 6:06
2. In Doubt 4:52
3. Desolated Fields 4:41
4. Unconsciousness 6:56
5. Curse Of Existence 5:54
6. Walk To Fall 5:15
7. The Unknown 5:25
8. Sand And Dust 5:43
9. After 3:24 (strumentale)
Durata 48 min.
Formazione:
Gražvydas Zujus – Voce
Rimas Ganseniauskas – Chitarra
Kiril Demjanenko – Chitarra
Almantas Jasiūnas – Basso
Vilius Stašauskas – Batteria
Musicisti addizionali:
Veronika Jašina – Tastiere