Recensione: Carnivore

Di federico venditti - 15 Marzo 2020 - 9:27

I Body Count, nonostante i trent’anni di onorata carriera alle spalle, rappresentano ancora una voce fuori dal coro contro l’ingessata società americana. Quando il gangsta-rapper afroamericano Ice-T li fondò, insieme al suo sodale Eernie C alla chitarra, ad inizio anni Novanta, fecero subito il botto con l’omonimo debutto. Un album di feroce rap metal condito da testi corrosivi contro il conformismo della società e soprattutto in opposizione al dilagante razzismo della polizia americana contro i neri. L’inno anti polizia Cop Killer creò parecchie polemiche in USA e, se non bastasse, ad incendiare ulteriormente il loro ingresso nel panorama metal ecco il corrosivo testo di KKK Bitch (dove una ragazza bianca affiliata al KKK offre una prestazione orale al cantante).

Dopo un lungo stop Ice-T rimette insieme i Body Count e nel 2014 sforna l’ottimo Manslaughter, una badilata in pieno viso di riff stoppati, seguito poi dall’altrettanto valido Bloodlust di tre anni dopo. Ora ecco i Nostri tornare sul mercato con Carnivore, un disco che ribadisce l’eccellente vena creativa del combo di LA, anche se la durata degli inediti è di una mezz’ora circa soltanto, dal momento che ci sono ben due cover. La prima è la scontata, e fuori contesto per me, Ace of Spades dei Motorhead rifatta in maniera sin troppo pedissequa all’originale. Invece Colors 2020 è nient’altro che il rifacimento del famoso brano rap di Ice-T ( colonna sonora dell’omonimo film con Sean Penn). L’atmosfera di questo brano è fantastica e ci catapulta nelle strade malfamate di LA di primi anni novanta quando le gang andavano in giro  in macchina con le bandane colorate intorno alla testa e con la rivoltella infilata dietro i pantaloni a tre quarti.

All’interno del disco ci sono tanti ospiti illustri come Jamey Jasta degli HateBreed sulla cadenzata Another Level. Oppure nella melodica When I’m Gone troviamo Amy Lee degli Evanescence. Altri cameo non accreditati vedono addirittura protagonisti Jello Biafra e Dave Lombardo. La cosa che ha sempre posto i Body Count al di sopra di tanti gruppi rap-metal è la loro attitudine che unisce in maniera eccellente il rap dei ghetti neri con l’HC dei centri sociali e soprattutto un certo tipo di thrash metal debitore agli Slayer.  Nella line up del combo americano infatti troviamo una vecchia gloria del thrash metal, Juan Garcia ex chitarrista degli Agent Steel ed Evil Dead. Altro picco del disco è sicuramente l’incendiaria Burn-Rush che ricorda un riuscito mix tra i vecchi Suicidal Tendecies e i RATM. La tripletta finale del disco formata da Thee Critical Beatdown, The Hate Is Real e la bonus track 6 in the Morning chiudono un album non perfetto (avevo apprezzato di più la violenza iconoclasta del precedente capitolo), ma assolutamente godibile, che dimostra ancora una volta come Ice-T abbia ripreso in mano le redini di una band che sembrava finita nell’oblio. Invece i Body Count sono in ottima salute e fanno il terzo centro consecutivo.

 

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