Recensione: Cartesian Dreams

Di Andrea Loi - 7 Ottobre 2009 - 0:00
Cartesian Dreams
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Genere:
Anno: 2009
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82

Il monicker “House Of Lords” rappresenta uno dei più validi biglietti da visita per l’hard rock di stampo melodico degli ultimi vent’anni.
Alzi la mano chi è d’accordo nell’attribuire i cosiddetti quattro/quarti di nobiltà musicale ad una band che sul finire degli anni Ottanta riuscì a sfornare degli autentici masterpiece.
In un’ipotetica Hall of Fame, i “Lords” potrebbero legittimamente aspirare ad “un posto al sole” nel firmamento Hard ‘n’ Heavy:
Il talentuoso James Christian, troppo frettolosamente relegato a clone di Coverdale dalla critica musicale del tempo, l’inarrivabile Giuffria ai tasti d’avorio, senza dimenticare il bassista Chuck Wright e un grande batterista che risponde al nome di Ken Mary, sono nomi altisonanti e di indiscussa caratura tecnica. Terminata quella grande stagione, la reunion del 2004 “decollò” solo con l’eccellente Come To My Kingdom pubblicato appena l’anno scorso, con cui la band lasciò finalmente un segno tangibile dopo due dischi di “rodaggio” che di fatto battezzarono il già detto come-back del combo, dopo ben dodici anni di attesa. Con questo quarto disco post-reunion (settimo nel computo totale) l’operazione di “ricostruzione” si è definitivamente compiuta.Il luminoso passato che si traduceva in due strepitosi full-length alla corte di Gene Simmons ha finalmente dei degni successori. Della release dell’anno scorso abbiamo appena argomentato, ma il presente è questo “Cartesian Dreams” che vede al songwriting un certo Mark Baker, già artefice, tra gli altri, di Loud & Clear dei Signal. Del “nuovo” corso, rispetto alla strepitosa formazione di Sahara, a tirare la carretta è rimasto il solo Christian. Giuffria, dopo la fugace apparizione nel 2006 come ospite su World Upside Down, non è più della partita.
Ma non per questo ci sentiamo di relegare la nuova uscita come “figlia di un Dio minore”: La title-track in apertura è fiera e maestosa nella migliore tradizione della band: l’esempio più fulgido di cosa s’intende per Hard Rock regale e sfarzoso, dalla struttura pomposa e magniloquente.
Forse una song come “Born To Be Your Baby” scivola nella retorica ma mentiremmo se dovessimo dire che brani come “Desert Rain”, più “impegnata” nel testo, non cattura subito l’attenzione: la song delineata da ritmiche decise e dalle linee melodiche invitanti è impreziosita dalla convincente chitarra di Jimi Bell decisamente all’altezza in tutto l’album come del resto il drumming del validissimo di Bj Zampa.
La seducente “Sweet September” rappresenta un altro degli highlight del disco: qui ci viene mostrata la ben collaudata dimensione romantica della band, con la voce di Christian che svetta con molto mestiere con la certezza di poter conquistare subito l’attenzione dell’ascoltatore.
Assolutamente di valore anche momenti quali la pomposa “Bangin'”, la vivace “Never Look Back” e sopratutto “The Bigger They Come”, cavalcata dai toni nuovamente regali e trionfali che contribuiscono a creare nel complesso un quadro che si propone di mantenere vivi i legami col passato meno recente, a partire anche e sopratutto dall’artwork di copertina. L’album non aggiunge molto altro – apprezzabile la ballad “The Train”, in chiusura – ma le prerogative ci sono tutte per considerare significativo questo ritorno.

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Line up:

* James Christian – voce, chitarra, tastiere
* Jimi Bell – chitarra
* Matt McKenna – basso
* B.J. Zampa – batteria
Tracklist:

01. Cartesian Dreams
02. Born To Be Your Baby
03. Desert Rain
04. Sweet September
05. Bangin’
06. A Simple Plan
07. Never Look Back
08. The Bigger They Come
09. Repo Man
10. Saved By Rock
11. Joanna
12. The Train (bonus track)

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