Recensione: Caught Up In The Gears Of Application

Di Andrea Poletti - 2 Gennaio 2017 - 2:17
Caught Up in the Gears of Application
Band: Superjoint
Etichetta:
Genere: Sludge 
Anno: 2016
Nazione:
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73

-“Ciao ragazzi, che ne dite di venire a farvi una birretta a casa mia questo fine settimana, non ho nessuno tra i piedi per cui una bella rimpatriata ci potrebbe stare”

-“Certo perché no, in fin dei conti sono sempre tanti anni che non ci vediamo, è una bella occasione”

Due giorni dopo a casa di Phil Anselmo

-“Ragazzi sbaglio o ieri eravamo talmente fumati che abbiamo scritto undici canzoni? Cosa ci facciamo adesso?”

-“Perché non le pubblichiamo a nome Superjoint Ritual?”

-“Non posso, la band è morta, bisogna trovare un  escamotage…mmm… Togliamo ritual e lasciamo solo Superjoint, così pare una nuova band, che ne dici?”

-“Figoso! Andata, manca il titolo e la cover ma quella è roba inutile, conta poco e uno vale l’altro, ma abbiamo il disco nuovo!”

Più o meno mi immagino questa situazione, dove il buon vecchio Phil si raduna con i compagni di lunga data, decidono di jammare un po’ insieme tra alchool e rituali di bamba,e il fine settimana trascorre spensierato ed allegro, mentre il nuovo disco dei Superjoint (al secolo Superjoint Ritual) viene fuori da solo. Musica fatta con la voglia di divertirsi, senza pretese e senza alcuna voglia di dimostrare qualcosa a qualcuno; tra il buon vecchio Anselmo, Jimmy Bower e Kevin Bond di esperienza e capacità ne ritroviamo a bizzeffe, riuscire a creare brani godibili e orecchiabili serve poco impegno quando dietro ci sono queste menti “malvagie“. Certamente, l’ultimo parto targato oramai 2003 (“A Lethal Dose of American Hatred”) non ci aveva lasciato ottimi ricordi, anzi era tutto tranne che orecchiabile andando quasi al limite della presa per i fondelli, ma sappiamo tutti il periodo in cui quell’album uscì e oggi la ciurma è completamente differente alivello psicologico e stilisitico; la maturazione si fa sentire, abbiamo di fronte un disco che di per certo non sconvolgerà la rotazione terrestre ma si lascia ascoltare con estremo piacere.

Ci sono canzoni che devono essere servite sull’agognato piatto d’argento con una pinta di birra, uno sdraio di quelli marci di plastica bianca comprati al conad sotto casa e il volume dello stero in modalità violenza. In sintesi ci sono album che si chiamano “Caught Up In The Gears Of Application“. L’iniziale ‘Today And Tomorrow’, le terremotanti ‘Ruin You’ e ‘Clickbait’ con il loro incedere tipicamente hardcore o ‘Asshole’ con la tendenza al southern destrutturato verso lo sludge più intollerante, ci mostrano una band che ha voglia di testare e giocare con le proprie potenzialità. Non si trova una monodirezionalità compositiva e tutto è volto verso la condensazione della storia della band, per andare ad esplorare il passato e le influenze di una vita. Certamente anche se lontano anni luce l’eco dei Pantera che furono, soprattutto quelli dell’ultimo periodo, quelli più violenti e fastidiosi per l’appunto, si riescono a percepire in brani quali ‘Circing the Drain’ o ‘Rigging the Fight’, ma ciò che emerge al di fuori di ogni qualsivoglia ipotetico paragone è l’attitudine prettamente punk che risiede alla base della band oggi. Non è tanto la musica stessa, che indiscutibilmente viene gestita tramite una visione punkeggiante dello sludge oriented metal contemporaneo, ma quanto alla fastidiosa e indiscutibile voglia di fregarsene di tutto e tutti, senza pregiudizi o voglie di dimostrare. Gente navigata che ha deciso per una volta di mettersi insieme e registrare musica per divertirsi, che riesce a farti percepire quanta sia la loro sinergia oggi e che hanno ben presente la potenzialità con gli strumenti in mano. In parole povere, gente con i controtesticoli d’acciaio!

Semplice diretto, senza fronzoli, questo è thrash, harcore, punk, sludge o chiamatelo come più vi pare ma sopra ogni cosa è buona musica che è stata fatta con il piacere di divertirsi, senza voler dimostrare ma con la seria e ferma volontà di tirare giù le pareti e aprire mosh-pit nei palchi in sede live; Phil Anselmo è tornato sulla scena, dopo anni di pregiudizi e indicizzazioni superflue, lui sopra ogni polemica torna e ci dimostra come la classe non è per tutti, rispetto! Questa è musica per il palco da vivere e omaggiare a volume altissimo, senza nessuna pretesa e con l’amore verso il metal a prescindere dai gusti essenziali. Chiudiamo con il pensiero a quell’ipotetico fine settimana da super Hangover; se fossero di più le occasioni in cui i gruppi riuscissero a creare musica di questa qualità con così poco impegno, ci ritroveremmo con album di minor impatto filosofico ma di maggiore qualità, a buon intenditore… a buon intenditore.

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