Recensione: Celebration Decay

Di Marco Tripodi - 20 Agosto 2020 - 8:00
Celebration Decay
Etichetta: SPV/Steamhammer
Genere: Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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64

Tagliano il traguardo del tredicesimo album i Vicious Rumors di Santa Rosa California, monicker appartenente a quella schiera di band che hanno raccolto meno di quanto avrebbero dovuto e potuto, e che tuttavia godono perlomeno di uno zoccolo duro, durissimo di fans sempre pronti ad alimentare  la fiamma, nonostante tutto e tutti (compresa la band e soprattutto lo spigoloso Geoff Thorpe, verrebbe da dire). Dal 1985, anno del debut “Soldiers Of The Night“, i VR solcano ininterrottamente i mari del music business, la morte di Carl Albert (1995) è il grande spartiacque nella carriera del gruppo, un evento traumatico e irreversibile che segna il prima ed il dopo. Fino ad allora, ogni release a marchio Rumors si rivela un album che vale la pena avere nella propria collezione, 5 titoli dal potenziale enorme, senza il minimo calo di tensione, con un feeling pazzesco ed un amalgama interno da studiare nei manuali di chimica. A partire dal ’96 i Rumors iniziano (comprensibilmente) a sbandare, è legittimo e fisiologico, Thorpe prende interamente su di sé le redini del project, in “Something Burning” si occupa anche delle vocals, quasi un modo per dire che nessuno avrebbe potuto prendere il posto di Albert e dunque il microfono rimane “in casa” della band. “Something Burning” è un disco rabbioso, grezzo, affatto scadente ma che mette in evidenza uno stato d’animo inquieto e stressato. Thorpe prova a giocarsi la carta dell’ammodernamento del sound VR, complice un periodo storico che lasciava poco margine alle band degli anni ’80 che non si adeguavano allo zeitgeist. Dopo “Cyberchrist” arriva “Sadistic Symphony” a proiettare la band nel nuovo millennio, un album azzoppato pesantemente da una produzione fetida e da una copertina estremamente kitsch, ma che in realtà – a mio giudizio – valeva più di quanto abbia riscosso in giro.

 

Oltre un lustro di iato e i Vicious Rumors in qualche modo si rimettono in carreggiata, dando avvio con “Warball” a una nuova era per la band, fatta di una produzione (quantitativamente) compatta che mette a segno altre 5 release, segnate da una certa instabilità della line-up e da un livello qualitativo altalenante ma tutto sommato accettabile; la band non pubblica né dei capolavori né album di cui vergognarsi. Dove più dove meno, le scalette dei vari “Razorback Killers“, “Electric Punishment“, “Concussion Protocol” alternano buoni pezzi ad altri più modesti, un sound tradizionale e qualche fuga in avanti, luci ed ombre insomma, all’interno delle quali ogni fan – a seconda della propria sensibilità – esalta più queste o quelle. Si arriva così a “Celebration Decay“, con l’ennesima rivoluzione in formazione, tre nuovi membri vengono ad affiancarsi a Thorpe e allo storico batterista Larry Howe. In piena coerenza con quanto scritto sin qui, anche questa “celebrazione” prosegue l’andazzo dei Rumors post 2000, un album di fascia media che non aggiunge nulla alla discografia della band, non regala neppure un nuovo classico che sia uno da aggiungere al palmares dei Rumors, ma che d’altra parte non ne affossa nemmeno il vessillo, mantenendosi su livelli accettabili, dignitosi e null’altro. Rispetto alla discografia più recente, “Celebration Decay” è forse pure un gradino sotto; apprezzabilissima la produzione, grintosa, potente, muscolare, ma è il songwriting a lasciare un po’ a bocca asciutta. A mio personale gusto, “Arrival Of Desolation” è forse il momento migliore, a latere del quale si piazzano tracce gradevoli come “Any Last Words“, “Darkness Divine” e poco più. I Rumors sembrano avere maggiori difficoltà del solito con i chorus, quasi del tutto assenti, o strutturati in maniera tale da sembrare un mero e asintomatico prolungamento delle strofe, il che toglie potenza e dinamismo alle canzoni.

 

Come detto, nulla da eccepire sull’impatto dell’album, le scelte produttive sono azzeccate, l’idea è effettivamente quella di un treno merci pronto ad abbatterci; così come però non avrebbe molto senso salire sul palco dei Manowar potendo sfruttare il loro impianto da guinness dei primati (per numero di decibel) senza avere nulla di interessante da suonare, allo stesso modo se alla potenza di fuoco di “Celebration Decay“, ovvero alla forma con il quale questo album è stato registrato, non si associa un po’ di sostanza, la polpa – in altre parole, un songwriting ficcante ed incisivo – la sensazione che rimane alla fine dei tre quarti d’ora d’ascolto è quella di un lavoro del quale rimarrà in testa ben poco. Lo stato di salute complessivo dei Rumors pare decisamente atletico, ma le idee non vanno di pari passo, ci vuole più propellente per dare freschezza e solidità all’humus creativo di Thorpe e soci, avvitati su di una formula che non sta più producendo risultati al di sopra della media, come invece sarebbe lecito aspettarsi dai Vicious Rumors. “Celebration Decay” è un album che permette alla band di continuare a sopravvivere nel 2020, e non dubito che dal vivo rimangano una macchina da guerra (si è da poco concluso il tour celebrativo del trentennale di “Digital Dictator” con 108 date acclamate a furor di popolo), ma è oramai troppo tempo che la pallina rotante (eredità del film Phantasm, una saga con ben 5 capitoli iniziata nel lontano 1979) non mette a segno un colpo veramente vibrante ed eccitante, come accadeva tra gli ’80 e i ’90. “Celebration Decay” è un album onesto ma a conti fatti, spogliato della scintillante produzione, anche abbastanza modesto.

Marco Tripodi

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