Recensione: Cerebral Implosion

Di Vittorio Cafiero - 21 Maggio 2011 - 0:00
Cerebral Implosion
Band: Alligator
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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80

Nel percorso di riscoperta del metal italiano anni ‘90, accanto ai nomi più celebrati e conosciuti ormai entrati nella storia nostrana del genere, è doveroso ricordare una serie di band che pubblicarono lavori di assoluta rilevanza, rimasti troppo nell’ombra rispetto al loro effettivo valore. Se ci limitiamo a prendere in considerazione il thrash, oltre agli oramai leggendari Broken Glazz e In.Si.Dia (entrambi snobbati all’inizio e solo ultimamente valorizzati), vanno ricordati anche i pavesi Alligator i quali, con umiltà e passione, pubblicarono tre album, tra il 1991 e il 1996.

Se l’esordio (“Immortal Entity”) era ancora legato alle sonorità Bay-Area e il canto del cigno (“Rules”) pagava dazio alle sonorità ‘panteriane’, con il secondo e intermedio “Cerebral Implosion”, oggetto di questa recensione, svilupparono un sound interessante, personale e, ciò che maggiormente conta, riuscirono a metterlo al servizio di brani maturi e ben strutturati.

L’opener e title-track, come da consuetudine, incarna pienamente lo stile generale del lavoro. “Cerebral Implosion”, introdotta da atmosfere oscure e inquietanti, ha tutto ciò che serve per piacere: accelerazioni che lasciano spazio a stacchi melodici, un alternarsi incalzante di strofe, un ritornello facilmente memorizzabile senza essere stucchevole. Si percepiscono subito le buone capacità compositive, le influenze sono molteplici senza essere bieche riproposizioni e il bagaglio tecnico è più che discreto. È assolutamente thrash, che si guarda indietro come origine, ma indubbiamente al passo con tempi di allora. La strumentale “Beyond The Reach Of Fate” è un azzeccato ponte con la successiva “The Cage”. Quest’ultima, più progressiva e dinamica nelle ritmiche, offre l’opportunità di apprezzare il lavoro dei singoli: Andrea Bellazzi alla batteria che fa gli straordinari in quanto a fantasia ed eclettismo, Francesco Capasso e Tiziano Colombi brillanti e in evidenza alle chitarre e Dario Zanaboni, il cui basso, facilmente udibile (finalmente!), ci aiuta a ricordare come questo strumento, se ben suonato, non sia semplicemente parte della base ritmica di un gruppo metal ma possa ritagliarsi uno spazio ben più importante. Le stesse osservazioni potrebbero essere estese alla successiva e pesante “Decimation”, altra prova diretta di capacità da tutti i punti di vista. La cover ‘beatlesiana’ di turno (“Help”) è un divertissement e poco più (ritengo che certi esperimenti così estranei allo stile di un album possano andare bene come bonus-track ma piazzate a metà CD tendono a rompere l’atmosfera e la continuità del lavoro), che induce a pensare come le vocals non siano il punto di forza della band, in quanto decisamente monotone.

Nella seconda parte del disco gli Alligator sembrano prendersi il tempo per mettere in opera le loro diverse inclinazioni: pezzi mediamente più lunghi, caratterizzati da molteplici chiavi di lettura, da grande creatività e tanto spazio per le parti soliste. Può esserci forse un po’ di prolissità a volte, ma, in questo caso, è da promuovere la voglia della band di andare al di là della semplice sequenza strofa-ritornello-assolo. È questo il caso sia di “Lullaby For The Unborn”, sia di “Tarantula”, mentre è evidente il debito verso “Hell Awaits” degli Slayer in “Skeleton’s Beach”. Benché brevissima, “Drinking Milk From My Knees” è un assaggio di quello che i Nostri potrebbero arrivare a fare: l’attacco thrash è per un attimo messo da parte e sembra di risentire i Mordred di “In This Life”, dove, incredibilmente per qualità e originalità, il funky prende il sopravvento con la sua chitarra senza distorsione e il suo basso ‘slappato’. E se “Fetching Fear”, ancora una volta, stupisce per gusto e scelte stilistiche, si chiude con “Natural Victims” che nulla aggiunge e nulla toglie all’album.

Qualche momento dove il mordente tende a calare e qualche pezzo meno ficcante non influiscono sul giudizio generale, largamente positivo. Vista l’epoca, considerare “Cerebral Implosion” alla stregua delle tante ‘nuove’ proposte di groove thrash sarebbe un grossolano errore: con un destino diverso e una vita discografica più lunga, probabilmente gli Alligator avrebbero avuto l’occasione di stupire davvero. La tecnica c’era, la fantasia anche. Peccato che ancora una volta la fine sia arrivata troppo presto…

Vittorio “Vittorio” Cafiero

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Track-list:
1. Cerebral Implosion 5:01
2. Beyond The Reach Of Fate 0:43
3. The Cage 3:59
4. Decimation 3:48
5. Help 2:10
6. Lullaby For The Unborn 6:39
7. Skeleton’s Beach 6:00
8. Tarantula 7:45
9. Drinking Milk From My Knees 0:36
10. Fetching Fear 4:12
11. Natural Victims 6:39

All tracks 48 min. ca.

Line-up:
Gianluca Melino – Vocals
Francesco Capasso – Guitar
Tiziano Colombi – Guitar
Dario Zanaboni – Bass
Andrea Bellazzi – Drums
 

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