Recensione: Ceremony

Di Stefano Burini - 4 Febbraio 2009 - 0:00
Ceremony
Band: The Cult
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 1991
Nazione:
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80

Se dovessi scegliere un unico aggettivo con il quale descrivere i The Cult, probabilmente direi “camaleontici”. A questo proposito ci sarà chi parlerà di opportunismo e chi utilizzerà termini ancor meno ortodossi per descrivere Astbury & soci, tuttavia è doveroso, nel contempo, riconoscere che poche hard rock band nell’arco della propria carriera possono affermare di aver compiuto una ricerca sonora pari a quella del gruppo inglese e di aver ottenuto i medesimi risultati in termini di qualità.

“Ceremony”, a questo proposito, pur nella complessiva bontà della proposta, rappresenta un passo indietro sul piano dell’evoluzione rispetto ai tre album precedenti e al successivo omonimo. Infatti, dopo anni di ragguardevoli riscontri in termini di popolarità e di vendite, i The Cult, all’alba dei primissimi anni ’90, forse percependo l’ondata di cambiamento che avrebbe sconvolto il mondo della musica nella nuova decade, parevano piuttosto combattuti sulla strada da intraprendere.
Se ne dissero di tutti i colori, si disse che la band volesse tornare un po’ alle origini, a quel sound cupo e mistico degli esordi, si disse che mentre “Sonic Temple” fu il disco di Billy Duffy, “Ceremony” avrebbe dovuto essere il disco di Ian Astbury, un lavoro meno roboante e almeno a tratti più intimista nelle atmosfere e nel songwriting, ma la verità, come (quasi) sempre, sta con ogni probabilità nel mezzo.

Indubbiamente, ponendo a confronto i due suddetti album, alcune differenze si percepiscono. Se, infatti “Wild Hearted Son” (aperta da suoni di danze indiane in sottofondo), rientra a grandi linee nel filone dell’hard rock scatenato e guitar-oriented dei due precedenti lavori – grazie all’incedere robusto e ritmato e alle vocals ruggenti ed espressive – di certo il riffing saturo e ossessivo e l’atmosfera complessivamente meno solare della title track paiono riportare le lancette dell’orologio indietro di qualche anno.
Sempre rimanendo su territori hard-oriented, “Earth Mofo” grazie a riff dinamici e ottime melodie, rappresenta un altro dei pezzi da novanta dell’album, come pure la rovente “If”, che dopo un inedito incipit di pianoforte e (splendida) voce, non risparmia vincenti rimandi alla “vecchia” hit “Sun King”. Fra le due si inserisce la cantilenante “White” la quale, almeno nelle prime battute, ripesca un po’ di quelle sensazioni etnico-tribali tipiche di “Love”, per poi sfociare in una melodia densa e nebbiosa squarciata dal solo elettrico e squassante di Billy Duffy verso la metà del pezzo. Nel finale Astbury si diverte nel mettere in bella evidenza la propria devozione per i Doors, declamando e a tratti cantando un po’ alla maniera di Jim Morrison su un tappeto ritmico di basso e batteria, quasi fossimo al cospetto di una esibizione live chiusa da un ispiratissima jam session, a rielaborare il tema portante del brano.

Proseguendo nell’ascolto, incontriamo la travolgente “Full Tilt”, sorretta da chitarre ruvide e “rugginose” e da un andamento vagamente hard ‘n’ roll che richiama alla mente le sonorità di “Electric”, la successiva “Heart Of Soul”, in sé più che buona ma afflitta da una somiglianza fin troppo spiccata con la celebre “I Remember You” firmata Skid Row, sulla quale si può tuttavia chiudere un’occhio in virtù della solita prestazione “monstre” dei singoli. Infine la cadenzata “Bangkok Rain” la quale, dopo un inizio dalle consistenti reminiscenze sabbathiane, va ad inerpicarsi su riff rallentati e ritmiche rocciose tipicamente hard-oriented.
“Indian” è un delicato intermezzo unplugged sorretto per intero da un sublime Ian Astbury accompagnato dai lievi sussurri di una chitarra acustica, che va ad introdurre l’intensa “Sweet Salvation”, un lentone solenne ed “ecumenico” dal marcato retrogusto seventies e dai tenui accenni pinkfloydiani. La conclusione in pompa magna viene tuttavia affidata all’esaltante “Wonderland”, hard rock veloce su riff stile Deep Purple Mark III, con Billy Duffy assoluto padrone della scena a cesellare assolo di squisita fattura su cui Ian non può far altro che da accompagnamento.

Al tirar delle somme un grande album hard rock di classe e di sostanza come si addice ad una band di questa levatura, un punto d’incontro tra le correnti sonore esplorate nei precedenti lavori che farà la felicità degli estimatori dei The Cult ma che risulta assolutamente consigliabile anche agli amanti del sound anni ’70, rivisitato con le tecnologie e la potenza sonora della decade successiva.

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Tracklist:

01. Ceremony
02. Wild Hearted Son
03. Earth Mofo
04. White
05. If
06. Full Tilt
07. Heart Of Soul
08. Bangkok Rain
09. Indian
10. Sweet Salvation
11. Wonderland

Line Up:

Ian Astbury -Voce
Billy Duffy – Chitarre
Charley Drayton – Basso
Mickey Curry – Batteria
 

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