Recensione: Chalice Of Sin

Di Carlo Passa - 21 Giugno 2021 - 10:28
Chalice Of Sin
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Heavy 
Anno: 2021
Nazione:
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65

Sul valore e significato di alcuni dei molti progetti costruiti dall’irrefrenabile Serafino Perugino della Frontiers ci si potrebbe interrogare a lungo; e ai concerti, in vero, lo si fa(ceva). La formula è semplice: si pesca nel variegato mondo del metal uno o più personaggi che furono mediamente noti anni, decenni fa, e ci si costruisce intorno una band di turnisti cui si affida una manciata di pezzi che, a seconda del passato della “star” in questione, vanno dall’AOR all’heavy roccioso: e il gioco è fatto. Non fa niente se la proposta musicale non ha praticamente mai alcuna originalità e non vive più a lungo dei distratti ascolti wireless di oggi. E questo è un problema.
Va detto, però, che noi metallari siamo dei sentimentali; ed è forse su questo che giocano le strategie della Frontiers, fatta di rocker che ben conoscono i cuori dei propri clienti. Ed ecco, dunque, che i Chalice Of Sin alla fine non dispiaceranno a molti di voi, che come tanti vivete delle passate glorie del nostro genere musicale preferito.
Insomma, con i Chalice Of Sin siamo di fronte all’ennesima band effimera degna di nota solo perché alla voce c’è un naufrago dell’isola dei famosi del metal. Questa volta tocca a Wade Black, apprezzata voce di quell’Astronomica che segnò il rientro di una band strepitosa come furono i Crimson Glory, oltre che poi membro di Seven Witches e Leatherwolf.
Tutto ciò premesso, va detto che il disco si lascia ascoltare, perché ragala minuti di uno US Metal scritto e suonato bene, dalle belle melodie che si insinuano voluttuose (ma effimere) nelle nostre teste confuse da decenni di ascolti. Rispetto ai tempi di Astronomica, la voce di Wade Black si è fatta più graffiante e sporca, ma non mancano quegli acuti strepitosi che lo fecero emergere dalla massa più di vent’anni fa. La band fa un ottimo lavoro, con un Alessandro Del Vecchio sempre elegante, anche quando si trova a suonare un genere duro come è il classico heavy metal americano. Nota di merito anche al chitarrista Martin Jepsen Andersen che, pur non avendo a disposizione grandi spazi, dimostra un gusto notevole nell’assolare, oltre che per Mirkko De Maio, prestatosi alla grande al genere.
I pezzi. Non c’è una gran varietà e il disco tende un po’ ad annoiare o, peggio, a scorrere senza grandi acuti o abissi. Segnalo volentieri tra i primi la bella Sacred Shrine, che ha un andamento drammatico molto ben reso. Anche Ashes Of The Black Rose è notevole: un mid-tempo epicheggiante che suona un po’ (troppo) Lords of Black. E se la ballad Through The Eyes Of A Child si lascia apprezzare per i bei arrangiamenti tastieristici e il topo epico generale, I Stand è la mia preferita del lotto; trattasi di una cadenzata cavalcata quasi doom, che non può non richiamare i momenti più pesanti dei Rainbow, anche in virtù della eccellente parte strumentale. Sulle medesime orme, si muove la dinamica The Fight, mentre Nightmare torna a sottolineare la natura più melodicamente epica dei Chalice Of Sin, qui davvero simili ai Lord Of Black.
Alla fine, il disco dei Chalice Of Sin è un prodotto tanto ben fatto quanto inutile: non aggiunge proprio niente a quanto già (stra-)sentito e, soprattutto, non è destinato ad avere vita lunga. Si tratta, in sostanza, dell’ennesimo progetto studiato a tavolino, realizzato con le migliori tecnologie e competenze, suonato e scritto da ottimi musicisti, che eseguono col pilota automatico un canovaccio abusato. Per carità, a qualcuno di voi Chalice Of Sin piacerà e io stesso ne ho apprezzato alcuni momenti (I Stand), spinto più dalla passione per il genere che non dalla effettiva ragion d’essere del disco. Ma è proprio la passione per il genere che, al contempo, mi spinge a concludere questa recensione con la triste considerazione che dischi come Chalice Of Sin ne mostrano tutti i limiti e, in ultima istanza, lo fanno suonare vecchio e stanco. E me con lui.

 

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