Recensione: Churches Without Saints

Di Daniele D'Adamo - 4 Giugno 2021 - 0:00
Churches Without Saints
Band: Desaster
Etichetta: Metal Blade Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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55

Black più thrash più death uguale Desaster? L’ormai leggendaria formazione tedesca, nata nel lontano 1989, sforna il suo nono LP, “Churches Without Saints”, accompagnandolo da una biografia che pone l’attenzione dei lettori sulla suddetta equazione.

Con i tali generi, rigorosamente old school, i Nostri propongono un sound rispondente appieno agli stilemi di quel brodo primordiale che, nella seconda metà degli anni ottanta, girava vorticosamente eiettando le innumerevoli formazioni che hanno fatto la Storia del metal estremo. Un periodo straordinariamente fecondo, all’interno del quale le stesse formazioni si evolvevano delineando, via via che passavano i mesi, le linee di demarcazione fra una foggia musicale e l’altra.

Ora, senza cadere nella trappola di volere definire a tutti i costi il campo di azione del combo teutonico, si può rispondere alla domanda di partenza affermando che detto campo comprenda anche l’heavy metal, giacché, alla fine, si tratta di speed metal adombrato, soprattutto nei testi, da echi di black. Questo, almeno, a parere di chi scrive. Tuttavia, proprio perché di tranello si tratta, appare coerente alle intenzioni di partenza che ciascuno degli ascoltatori adotti un’idea propria, abbracciando interpretazioni del tutto personali.

Scendendo nei particolari, stile in primis, “Churches Without Saints” centra in pieno l’obiettivo di suonare esattamente come se sia stato creato in quegli anni. Posto che ciò sia un risultato voluto. Nondimeno, preso atto che ogni musicista tende per natura a evolversi, a rinnovarsi, si può dire che la ferrea ortodossia per un suono vecchio di trent’anni sia un’operazione studiata a tavolino. Niente innovazioni, quindi. Con che il disco funge da macchina del tempo, trasferendo la mente indietro nei lustri. Se questo può rivelarsi interessante per coloro che non hanno vissuto quell’incredibile periodo storico; per quelli che, al contrario, sono cresciuti a abbondanti dosi di Venom, Sodom, Possessed e compagnia cantante, i Desaster non offrono ovviamente niente di nuovo.

Un fatto è certo, però. Il gruppo non è sceso a nessun compromesso, risultando fedele alla propria linea, alla propria filosofia, al proprio credo. Con una tenacia ammirevole e una professionalità di tutto rispetto nel mantenere congelato il proprio stile senza modificarlo nemmeno di una nota.

Sataniac comanda le operazioni con il suo timbro roco, stentoreo, leggibile; il quale, però, non si muove poi molto sulle linee di competenza. Con che alla lunga, può diventare un po’ noioso. La chitarra di Infernal sputa tonnellate di riff, veloci, duri, scabri, trafitti dai toni acuti degli assoli. Normale e lineare la sezione ritmica, potente al punto giusto, piuttosto mobile nel gestire i BPM dai mid-tempo sino ai blast-beast come in ‘Primordial Obscurity’. Si percepisce che il gruppo è affiatato, coeso, compatto. Tant’è che lo stile che, come già accennato, pur non regalando alcunché di interessante, riesce a mantenersi sempre uguale a se stesso (‘Endless Awakening’), marchiando a fuoco il quartetto.

E, a proposito di brani, e qui che si può individuare il vero tallone di Achille del platter. Sì, perché fra di essi non c’è qualcosa che resti nella memoria, nemmeno dopo parecchi ascolti. Un songwriting assolutamente scolastico, insomma, che non regala granché ai palati degli appassionati. L’LP non decolla, restando impantanato in un’ordinarietà che inficia il tutto. Che che, si ribadisce, aprendo la strada al tedio.

Non resta molto altro da dire, se non che “Churches Without Saints” possa essere efficacemente indicativo di un preciso periodo storico, ma nulla più. Perseverando con questo modus operandi, alla fine, ai Desaster non rimane che l’oblio.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

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