Recensione: Coat of Arms

Di Federico Vicari - 17 Luglio 2010 - 0:00
Coat of Arms
Band: Sabaton
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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73

Inamovibili come i difensori delle Termopili, per usare un riferimento caro al combo svedese, i Sabaton tornano con un sound che non sembra cambiato di una virgola, dispiegandosi stavolta sotto lo stendardo della Nuclear Blast.

A dieci anni dall’inizio della loro strada nella scena metal europea, i Sabaton segnano un traguardo importante con la pubblicazione, nel 2008, di The Art of War, un prodotto indubbiamente non distante dagli standard proposti fino a quel momento ma decisamente più maturo: il disco li consacra al successo, grazie ad un power metal che nasconde un certo gusto per melodie a tratti eccessive e tastiere preponderanti, di chiarissima matrice finnica, dietro all’ugola rude e guerriera di Joakim Brodèn, anima e frontman della band, un’ugola che si può identificare senz’altro come elemento determinante del successo dei sei.

Un successo legato non soltanto all’attento equilibrio tra melodia e aggressività, ma anche all’attenzione dedicata ai testi, riguardanti i numerosi eventi bellici che hanno insanguinato lo scorso secolo, trattati in modo più o meno discutibile, con un gusto più vicino a quello dello spettatore cinematografico medio che non a quello dello storico e badando bene di soddisfare le esigenze dei fan, trattando temi che risultino il più possibile d’effetto.
Questo risulta evidente sin da quanto scritto sui ringraziamenti che aprono il libretto del nuovo Coat of Arms: il lavoro in studio sarebbe stato molto aiutato dalle idee dei fans, promotori delle tematiche liriche della maggior parte del disco.

Non manca quindi un nuovo tuffo nella mitologia nazionale polacca, (dopo che 40:1, nel precedente disco, li aveva definitivamente consacrati a quel pubblico) con Uprising un mid-tempo dai toni tragici sull’insurrezione di Varsavia del 1944, tematica questa assai cara ai fan di quelle parti.
Ritornano anche le Termopili, protagoniste nella title-track, apripista e sicuramente miglior brano del disco, dedicato stavolta all’ostinata e orgogliosa resistenza greca contro gli invasori italiani: un parallelo con Leonida era irrinunciabile, specialmente ora che gli entusiasmi del grande pubblico per l’epopea degli spartani sono stati così recentemente rilanciati dal fumettone cinematogrico di “300”.
E ancora l’epopea di Bastogne e dei paracadutisti americani, raccontata non molti anni fa da una fortunata produzione televisiva, l’Olocausto e le persecuzioni naziste in The Final Solution, curiosamente contrapposte a un brano sulla Wehrmacht dal titolo omonimo: tanto per avere la certezza di non deludere proprio nessuno.

Ora, affrontato l’aspetto lirico, sicuramente importante in un gruppo come i Sabaton, come si presenta Coat of Arms dal punto di vista musicale? Riesce effettivamente a superare o quantomeno a riproporre qualcosa di vicino a The Art of War?

Va subito detto che i brani sono generalmente convincenti, facili da assimilare e da cantare a squarciagola, le melodie sono al solito azzeccate e ruffiane.
Coat of Arms apre il disco al fulmicotone, adrenalica e galoppante, un centro perfetto. Uprising possiede un ottimo ritornello che somiglia più a un inno, tanto è ossessivo, marziale e vigoroso mentre Screaming Eagles batte su una doppia cassa che richiama il suono martellante delle mitragliatrici e dell’artiglieria e lascia senza fiato, rivelandosi senza dubbio uno dei brani più veloci e aggressivi dell’intero repertorio della band e sicuramente una delle perle del disco, consuetamente pomposa e drammatica, quasi priva di rallentamenti, assenti persino nell’irresistibile ritornello, non più abitualmente declamatorio ma retto e caricato dal cantato a cappella dei sei svedesi.

Tuttavia, le impressioni positive vengono comunque guastate dalla permanenza di una sensazione stantia, come di già sentito, fin troppo forte per essere associata solo ed esclusivamente a questioni di coerenza musicale e concettuale, bensì più vicina al riciclo e all’autocitazione. Le uniche sorprese, se sorprese possono essere definite, sono le tastiere dal sapore curiosamente vicino a certe vecchie produzioni dei Rammstein in Wehrmacht e l’estrema concisione di Midway, dotata di un ritornello violento ma che tutto sommato non l’aiuta particolarmente a farsi ricordare.

E’ difficile trarre un giudizio su un disco tanto contradditorio, senz’altro già sentito e in parte prevedibile, eppure ugualmente così irresistibile: il livello è sicuramente mantenuto ma tutt’altro che superato e le idee interessanti che iniziavano ad emergere nel precedente disco, con canzoni più strutturate, come Unbreakable, non sembrano essere state sviluppate: si è invece preferito ricalcare con molta comodità la preponderanza dei mid-tempos e la generale struttura del vecchio lavoro, pur senza riuscire a suonare ugualmente convincenti. E’ comunque innegabile il talento di Broden e soci, che riescono a comporre brani magari di maniera, magari che suonano come già sentiti, ma che continuano a risultare ugualmente acchiappanti ed efficaci o quantomeno si stampano in testa: il già citato anthem The Final Solution esemplifica perfettamente il concetto.
Per il prossimo lavoro sarebbe auspicabile sperare in qualche passo avanti un pò più significativo giusto per non rischiare la stagnazione; un passo tuttavia non necessariamente così significativo da farli distaccare dal loro stile ormai connaturato, ma qualcosa di simile a quello che, all’indomani di un disco relativamente poco ispirato come era stato Attero Dominatus si rivelò essere The Art of War.
 
Nel frattempo, non resta che attendere i Sabaton all’assalto della Fortezza Europa con il loro primo tour da headliner, confidando nell’efficacia di brani che, se su disco possono provocare qualche perplessità, danno l’idea di poter funzionare assai efficacemente in sede live.
 
Federico “fritz” Vicari

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Tracklist:
 
1) Coat of Arms
2) Midway
3) Uprising
4) Screaming Eagles
5) The Final Solution
6) Aces in Exile
7) Saboteurs
8) Wehrmacht
9) White Death
10) Metal Ripper

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