Recensione: Conscious Darkness

Di Stefano Santamaria - 14 Dicembre 2017 - 0:00
Conscious Darkness
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Black metal di qualità per i polacchi Blaze of Perdition, progetto che ha nelle proprie corde la scuola svedese del filone e che, più in generale, guarda alla old school con occhio “critico”. Se è vero infatti che molto del progetto si ispira a Watain e Dissection, è altrettanto vero che il gusto per le melodie e la quiete, ad esempio presenti in ‘Ashes Remain’, vanno a sfiorare anche altri “ascoltatori”. Il sound è diretto e violento, allo stesso tempo però  di impeto crescente, quasi a sottolineare un’emotività di fondo a spingere questa marea nera. 

La durata corposa dei brani nasconde una certa ricercatezza delle strutture, suoni di chitarra che vibrano e che fanno da cornice ad una voce decisamente sofferente. Il pathos creato in ‘A Glimpse of God’ è l’ideale alternarsi tra angoscia e teatralità, atteggiamenti che elegantemente ci raccontano di una spiritualità oppressa e poi ribelle. Le ritmiche serrate diventano nero fumo che poi incontra bianca e fredda luce lunare che, metaforicamente, ne dissolve il volere. 

Algia si disperde, smossa da una mano dai movimenti fugaci, creatura che timidamente si affaccia e poi scompare illuminata dalla speranza. Non mancano suite più riflessive, dialogo che potremmo definire cordiale tra la band e l’ascoltatore, ambientazioni sulfuree in un luogo avvolto dal vapore dell’alcool e dal sensuale fumo di sigaretta. 

Così i Blaze of Perdition ci narrano  una storia di perdizione, in cui stati di alterazione dell’anima danzano e si intrecciano senza una soluzione di continuità. Il tappeto ritmico black metal che avanza inesorabilmente in più punti è costante necessaria per scandire pause e ripartenze  per soddisfare la fame di nera pece degli amanti del filone. 

Detachment Brings Serenity’ ha in sé una suite più melodica, quasi sussurrata, che fa correre un brivido lungo la schiena per intensità. In  “Conscious Darkness” non c’è però solo Svezia, poiché certi toni nelle voci e digressioni di chitarre sono di stampo norvegese. Parliamo di sfumature e tecnicismi da scribacchino, utili auspichiamo per meglio inquadrarvi una proposta dalle molteplici sfaccettature.  Stimolante come il full-length mostri, ad ogni ascolto, nuovi lati di sé, senza annoiare pur in un contesto dalla durata impegnativa. Disco che conferma un trend positivo per una realtà che è allineata a certi dettami, riuscendo però a metterci del proprio emozionando.

Stefano “Thiess” Santamaria

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