Recensione: Covenant

Di Alessandro Marrone - 23 Aprile 2018 - 14:00
Covenant
Band: Unprocessed
Etichetta:
Genere: Djent 
Anno: 2018
Nazione:
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85

Leggi anche tu, fidati! Il nuovo disco dei tedeschi Unprocessed è uscito da poco e seppure ci si trovi ancora nel primo quadrimestre del 2018, intendo sbilanciarmi e dire che si tratterà sicuramente di uno dei migliori album dell’anno, non solo per gli amanti del djent. Covenant è un muro di cemento armato sapientemente mescolato con estrema perizia, idee ed una voglia di sorprendere, senza però perdere la vera natura e le intenzioni di come la band voglia arrivare alle nostre amate orecchie. Ascoltatelo in cuffia, ci sono dei bassi pazzeschi ed un matrimonio tra sezione ritmica e chitarre che se manterrete il volume alto saranno gioia e dolore per i vostri timpani. Ma ne sarà valsa la pena, perché dall’inizio alla fine è un costante percorso in ciò che il metal estremo contemporaneo ripone le proprie ambizioni, un turbine sonoro che spazia tra ritmiche serrate, aperture melodiche e parti più veloci, senza mai lasciare indietro quel sapore che da tempo non percepivo in un disco.
 

La title-track Covenant è piazzata in apertura ed irrompe senza alcun compromesso o mezze misure, gettando in mano all’ascoltatore tutto ciò che il djent deve essere. Quel suono profondo e quelle ritmiche articolate sono la perfetta anticamera per Haven, una creazione a dir poco strabiliante, molto lavorata, ma anche più melodica rispetto all’opener. È potente, ispirata, sorprende quando dietro l’angolo ti butta una parte strumentale che si evolve e proprio in quel momento ti rendi conto che questo album ti farà compagnia per parecchio tempo. Da un lato vorresti riascoltarla subito, ma sei troppo curioso di sapere cosa si cela dopo e lo start di Ghilan non delude. Mr Pfeifer alla batteria continua a dare spettacolo e le aperture si incastrano a meraviglia con la natura più aggressiva del brano. Siamo su livelli stellari e Malleable conferma il momentum di grazia della band, che riesce, grazie ad una ritmica marziale e un incedere quasi ossessivo, a variare ulteriormente ampliando il proprio stile a livelli che raramente si riescono a trovare all’interno di una discografia intera di una band, figuriamoci in appena quattro tracce. Millenium è metamorfica e mette insieme i famosi opposti che si attraggono. Un’intro percussivamente porno, una digressione melodica e la parte più feroce accompagnata da un tappeto sinfonico. Se avessi più capelli, comincerei a strapparmeli dalla testa, ma The Division sa fare addirittura di meglio, anche se sminuire “Covenant” descrivendo alcune canzoni come migliori di altre sarebbe un errore, poiché nonostante ci sia un forte legame tra ognuna delle 10 tracce, tutte hanno una vita propria. The Division è tra gli highlights dell’album perché è diretta, reminiscente dei migliori Meshuggah e persino oscura, con l’aggiunta del pianoforte sulle note finali. The Mirror è sicuramente la più sperimentale, quasi transitoria e reputo che sia un punto di partenza ottimale per uno sviluppo ampio a tal punto da condire un intero disco, magari proprio il prossimo. Meridian è vorticosa, eccezionalmente compatta e riepiloga a modo suo quello a cui abbiamo assistito sinora, introducendo la violentissima Exhale, senza dubbio un lato che sinora non avevamo ancora esplorato a dovere su Covenant. Il disco si chiude con Exeunt, un’outro che ci da il tempo di riflettere sulle precedenti nove canzoni senza farci assalire da uno sterile silenzio.
 

Che spettacolo! Questo Covenant è una piccola antologia djent, un manuale di tutto ciò che avremmo voluto sentire suonato, cantato e provato (emotivamente parlando) nella maniera migliore possibile. Questi ragazzi hanno dato vita a qualcosa di magico ed oscuro come il monolite di “2001: Odissea nello Spazio”. Ci sono idee a non finire, ritmiche originali mai scontate e soprattutto mai parti ripetitive. C’è tecnica ma al servizio di una profondità musicale che compone un disco maturo e che fornisce una dozzina di dozzine di spunti per ciò che verrà. Ascoltatelo tutto, rigorosamente a volume alto, e proverete una sensazione ormai più unica che rara, quella della soddisfazione. Fantastico, aggiungete mezzo punto per la qualità di registrazione strepitosa, che – farò contenta la classe di musicisti più bistrattata e spesso sacrificata – quella dei bassisti.
 

Brani chiave: Haven – Ghilan – The Division

 

 

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