Recensione: Cracked Brain

Di Marco Tripodi - 26 Luglio 2018 - 11:00
Cracked Brain
Band: Destruction
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 1990
Nazione:
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77

C’è stato un tempo nel quale i Destruction sono stati meno Destruction, Manco a farlo apposta si è trattato dei primi anni ’90, quando comprensibilmente molte metal band (intendendo il termine “metal” in senso piuttosto ampio, quindi anche thrash e persino death) hanno perso la bussola, sono rimaste sorprese e disorientate dal nuovo che avanzava, in particolar modo da Seatte, ma anche dalle catene di montaggio delle fabbriche di Chicago (Ministry), Cleveland (Nine Inch Nails), Los Angeles (Fear Factory) e, Oltreoceano, Birmingham (Godflesh) o Nottingham (Fudge Tunnel). Non saltate a conclusioni affrettate, nessuno dice che Mudhoney, Mother Love Bone o Nine Inch Nails siano stati un’influenza primaria di Sifringer e soci attorno al volgere del decennio incriminato; ci vuole però il contesto, la cornice, l’antefatto che porta a scorprire l’assassino, come nei migliori romanzi di Agatha Christie, o nelle puntate dell’Ispettore Derrick, viste le latitudini in oggetto.

I Destruction venivano da una serie di album ferocissimi che li avevano eletti a protagonisti del thrash tedesco e che, seppur minimamente, avevano già evidenziato una lieve, impercettibile progressione e maturazione del sound. Nell’87 “Release From Agony” mostrava segni di maggior cura e complessità delle partiture (il tutto sempre rapportato ad una band per natura grezza e radicale come i Destruction, cogliete le sfumature). Tommy Sandmann ce lo eravamo perso per strada all’altezza di “Eternal Devastation“, la formazione effettiva era passata a quattro unità e in occasione di “Cracked Brain” pure Schmier non agitava più il capoccione dietro il microfono, preso in carico da André Grieder degli svizzeri Poltergeist (ma la cosa non fu indolore, tant’è che nelle foto dell’album manco appare, è appena citato nei credits alla voce “buonanotte ai suonatori”). Niente Schmier – niente più basso (pure!); problema a cui ovviarono sia Sifringer che Wilkens e poi Christian Engler, turnista preso apposta. Si respira aria di cambiamento e nervi tesi negli Union Studios di Monaco, dove l’album viene registrato. Altro dettaglio, affatto insignificante, è la t-shirt dei Watchtower indossata da Sifringer nella foto di retrocopertina. Riuscite ad immaginare una band più distante concettualmente, tematicamente, musicalmente (pure geograficamente!) dai Destruction? Cosa avrebbero pensato i fans di attacchi alla giugulare basici e livorosi come “Curse The Gods” o “Beyond Eternity” al cospetto della citazione dei Watchtower? Un valore aggiunto o un mezzo tradimento? Nel metal le polarità sono sempre quelle, tante vie di mezzo non ce ne sono. Beh i Destruction evidentemente decisero di fregarsene (…ma poi tornarono sui propri passi).

I più illuminati, seguaci del motto “let the music do the talking“, avranno semplicemente poggiato la puntina sul vinile in attesa di scoprire l’arcano e capire se il cervello i Destruction se lo erano “incrinato” per davvero. L’assolo finale che chiude la title track, passaggi e fraseggi contenuti in pezzi come “Time Must End” o “No Need To Justify“, la cover nientemeno che dei Knack di “My Sharona“, mettono effettivamente in luce una nuova sensibilità da parte dei tedeschi. I Destruction non si sono trasformati né nei Watchtower, tanto meno negli Helloween o negli Scorpions, però è un fatto che “Cracked Brain” getti qua e là dei semi di notevole “apertura mentale” che non ti saresti necessariamente aspettato da una band così monolitica e tutta d’un pezzo come quella dei Macellai Pazzi. L’album sta in piedi, eccome! Merito dei nostri è aver trovato la quadra, ovvero non aver sconvolto il proprio sound e allo stesso tempo averlo sufficientemente reso più vario, dinamico, tecnico e stimolante. Non si corre a rotta di collo per 38 minuti, ci sono diverse pause e parentesi di maggior riflessione, ma sempre all’insegna dell’intensità e dello spessore. La produzione regala alla batteria dei suoni piuttosto ricchi (non da thrash metal band tout court), così come gli assoli chitarristici appaiono liquidi, una concreta variazione sul tema e non un mero prolungamento di strofe o una serie di note sparate a velocità smodate, e magari anche a casaccio.

C’è del raziocicnio nell’operato dei Destruction. Secondo alcuni pure troppo ed è il motivo per cui ci sarà chi storcerà la bocca comunque, reclamando il vecchio massacro. A distanza di tanti anni, e col senno di poi, posso dire tranquillamente che “Cracked Brain” è uno degli album dei Destruction che torno ad ascoltare più spesso e volentieri, e che, a parer mio, mantiene una notevole freschezza (un po’ come accaduto per “Renewal” dei Kreator, per portare un esempio in qualche misura affine). “S.E.D.” è un pezzo piuttosto intransigente (a dispetto dell’incipit e dei solos sculettanti, sbilenchi e progressive), perché lancia strali senza far sconti ai regimi socialisti (“Socialists’ Eternal Death“) e tutto sommato, detto da chi viveva in un paese diviso in due da un muro, si poteva anche comprendere, al di là delle proprie idee politiche. I Destruction poi non sono mai stati abituati a mandarle a dire (non che “Die A Die Before You Are Born” sia una passeggiata di salute in un campo di fiori). Insomma, se volete del mosh qui c’è, se volte del tupa-tupa qui c’è, se volete della violenza urticante qui c’è, ma c’è anche dell’altro, tutto il resto, e la ricchezza è sempre un pregio. Non la pensarono così i Destruction quando anni dopo rinnegarono parzialmente l’album (ed il successivo “The Last Succesful Human Cannonball“, dove line-up, sound e logo vennero veramente sfigurati). Al rientro sulle scene nel 2000 i Destruction dovevano ricrearsi una veriginità a suon di borchie, cinture di proiettili e talebanesimo musicale, per “Cracked Brain” improvvisamente non poteva esserci più posto. E allora riscopriamolo con un (ennesimo) ascolto postumo poiché – checché ne dicano Schmier e Sifringer – è stato e rimane un signor album.

Marco Tripodi

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