Recensione: Dark Age

Di Alessandro Di Clemente - 21 Luglio 2004 - 0:00
Dark Age
Band: Dark Age
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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70

Quarto album, autointitolato, per la tedesca band di death/black/cyber/dark metal.
Non conoscevo assolutamente il gruppo prima d’ora, purtroppo aggiungerei, poichè artefici di un riuscito amalgama di violenza, cattiveria e melodia che scaturisce da questo dischetto.
Il maggior pregio riscontrabile in queste composizioni è la commistione tra i vari generi che confluiscono, si armonizzano, senza mai prevaricarsi nè andare a cozzare l’uno con l’altro.
Ed ecco che qui convivono i Dimmu Borgir (diciamo quelli del nuovo corso) con i The Kovenant (strano vero?) o i Deathstars intramezzati da momenti veramente heavy, il tutto visto in una chiave pseudo-dark.
Da apprezzare la varietà delle composizioni, alcune più riflessive altre più violente.
Personalmente, ho apprezzato di più quelle in cui i Nostri spingono sull’acceleratore e non importa in che modalità lo fanno (se industrial metal, a là Thyrane per intenderci, o in chiave death melodico svedese), l’importante è che destino l’interesse dell’ascoltatore. E i Dark Age lo fanno bene, soprattutto grazie all’uso politimbrico delle voci: scream, growl nelle strofe e voci pulite nei ritornelli (alcune volte sotto forma di coro, altre semplici voci soliste) che mi hanno ricordato il bravo (sicuramente più del cantante dei Dark Age) Vortex.
Alla luce di questi fatti, devo sottolineare la particolare bellezza di pezzi come Zero, in cui il ritornello, anche se forse un po’ troppo derivativo di un certo power (alle volte mi rocordano gli Evergrey più feroci), acquista una notevole potenza ed apertura, rispetto ad una strofa martellante e serrata.
Devo ammettere che questa poi è la formula vincente dei Nostri teutonici, anche se in certi frangenti non è convincente come in altri momenti (Zero, appunto) ed infatti la successiva Dare To Collapse, non riesce ad emergere (pur essendo un bel pezzo d’impatto) probabilmente a causa della melodia vocale non troppo ariosa e melodica, mentre la quarta traccia (Pulse Of Minority) è una vera mazzata sulle gengive, con tanto di natural harmonic nel riff principale che fa tanto Machine Head di Burn My Eyes (peccato per l’assolo di matrice hard rock, fuori contesto).
Altra perla furibonda è Neurosis, un incipit mostruosamente potente per una strofa in crescendo di potenza e melodia, finalmente i synth escono fuori con un riff semplice ma convincente.
In definitiva un album che non lascerà sicuramente il segno, ma di pregevole fattura, una release la cui maggior dote è la freschezza compositiva, ma anche la giusta dose degli elementi che caratterizzano il suono dei Nostri e nulla importa se vi sono special guests “altisonanti” (Johan Edlund dei Tiamat, ad esempio), la cui presenza non intacca minimamente la personalità compositiva e musicale dei Dark Age.
Simpatica (ma non eccelsa) la cover di Ozzy: Suicide Solution.

Tracklist:

1. Fix The Focus
2. Zero
3. Dare To Collapse
4. Pulse Of Minority
5. Neokillers
6. Nikita
7. My Own Darkness
8. Neurosis
9. The Elegy Of A Forgotten Science
10. Suicide Solution

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