Recensione: Dark Hallucinations

Di Marco Catarzi - 17 Settembre 2020 - 9:29
Dark Hallucinations
Etichetta:
Genere: Heavy  Power 
Anno: 1999
Nazione:
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85

C’è stato un periodo, nella seconda metà degli anni Novanta, in cui la forte rinascita di interesse verso sonorità “tradizionalmente” metal vide il ritorno in auge di storiche band del nostro continente, quasi tutte di nazionalità tedesca, e l’esplosione di numerose nuove band europee. Anche al di là dell’oceano negli stessi anni, molto prima quindi che l’(ab)usata dicitura NWOTHM diventasse di dominio comune, iniziò a muoversi qualcosa, in maniera più silenziosa, ma non meno interessante. All’interno e attorno a etichette specializzate come Sentinel Steel, emersero numerose realtà che riprendevano la strada tracciata da precedenti band negli anni Ottanta, sia le sonorità epiche di Manilla Road e Omen, rielaborate da act come Gothic Knights e The Lord Weird Slough Feg (apparsi su alcuni album come Slough Feg), sia la tradizione del raffinato power metal di ascendenza maideniana elaborato da Fates Warning e Liege Lord. In questa seconda direzione si fecero notare soprattutto due band che, lontano dalle facili melodie europee, svilupparono un heavy metal dalle trame complesse ma rispettoso della tradizione: Steel Prophet e New Eden.

Nati negli anni Ottanta (il primo omonimo demo è datato 1986), gli Steel Prophet sono la creatura del chitarrista Steve Kachinsky, che unisce all’amore per gli Iron Maiden quello per le sonorità dei primi tre album dei Fates Warning, con varie accelerazioni in stile Helstar. Ascendenze forti quasi a costituire un manifesto programmatico. Per un sound di questo tipo, oltre a musicisti dotati, è necessario un cantante di alto livello. Kachinsky raduna attorno a sé una band preparata (numerosi saranno però i cambi di line-up negli anni successivi) e trova il jolly dietro al microfono nel nome di Rick Mythiasin. Dopo altre prove su demo, iniziano a muoversi “sottotraccia” con due album, il più che promettente The Goddess Principle (1995) e il già bellissimo Into the Void (Hallucinogenic Conception) (1997), inframezzati dall’EP Continuum (1996). Anche se la qualità è innegabile, gli Steel Prophet potrebbero tranquillamente rimanere un fenomeno underground, finché non arriva la grande occasione.

La Nuclear Blast, forse sulla scia del “fenomeno” Hammerfall e del crescente interesse per sonorità “defender”, getta il cuore oltre l’ostacolo e offre un contratto alla band (stessa cosa accade anche ai New Eden dell’amico Horacio Colmenares). Nel 1999 sugli scaffali dei negozi arriva Dark Hallucinations, disco che incanta già dalla copertina, le cui suggestioni hanno una profondità ben lontana dal classico stile fantasy che domina quegli anni. Come detto la lezione dei Fates Warning viene attualizzata, le canzoni sono ricche di fraseggi evocativi, con una grande lavoro di chitarra nelle parti soliste (Montag e The Secret), e armonie maideniane (New Life). Esplosioni speed si alternano a refrain più lenti e ipnotici (Strange Encounter e Scarred For Life), con linee vocali mai prevedibili (We Are Not Alone col suo fascino à la Mercyful Fate). Betrayal si erge a pezzo icona di tutto l’album, con una cura delle melodie che vuole allo stesso tempo omaggiare i classici e creare un sound riconoscibile, mentre Look What You’ve Done, dai ritmi tellurici e con un gran lavoro di batteria, potrebbe provenire dal repertorio degli Iced Earth. L’album procede con Spectres, figlia della miglior tradizione power americana e si chiude con la magnifica cover di The Apparition, a omaggiare proprio i padri nobili Fates Warning, con una prestazione di Mythiasin che stupisce per aderenza alle impossibili linee vocali di John Arch. Nell’edizione digipack dell’album la band ci regala la propria versione di Ride The Sky degli Helloween, ennesima band coverizzata da Kachinsky e soci (tra compilation e b-side le altre saranno Iron Maiden, Accept, Judas Priest, Black Sabbath, Metallica, Simple Minds e Queen).

Ogni pezzo di Dark Hallucinations ha una struttura “non lineare” che, a distanza di anni e dopo numerosi ascolti, mantiene alto l’interesse e sembra far scoprire ogni volta aspetti diversi, avvalendosi di una tecnica strumentale sempre messa al servizio del brano.

Potrebbe essere l’inizio di un percorso in ascesa, forti del contratto con la label tedesca, che proseguirà con altri tre ottimi album nei successivi tre anni (con una prolificità degna dei migliori Iron Maiden di inizio anni Ottanta), oltre a Genesis, riedizione su CD del demo Inner Ascendance originariamente uscito nel 1989. Un tour di supporto a Gamma Ray ed Edguy e la partecipazione ai maggiori festival estivi in terra tedesca (Wacken e Bang Your Head) mostrano il lato live degli Steel Prophet, che on stage hanno l’intensità e l’energia di una thrash band, accentuando tutta la componente speed dei propri brani, con Mythiasin che tiene il palco come un “novello” Jon Oliva.

A quanto pare tutto questo non sembra bastare per far crescere il seguito della band, il deal con Nuclear Blast si interrompe, lo stesso Mythiasin se ne andrà (su Beware del 2004 troviamo al suo posto Nadir D’Priest), per tornare anni dopo su Omniscient (2014) e poi sparire nuovamente.

Dark Hallucinations, assieme ai successivi Messiah (2000), Book Of The Dead (2001) e Unseen (2002), resta il fulgido esempio della miglior stagione vissuta dagli Steel Prophet, recentemente tornati sul mercato con The God Machine (2019). Adesso alla voce troviamo R.D. Liapakis, già in forza ai Mystic Prophecy, il sound è però diventato molto più europeo e diretto, perdendo in larga parte la personalità sviluppata lungo tutta la precedente discografia. Un nuovo ritorno di Mythiasin sembra improbabile, anche se questa possibilità resta nelle speranze di tanti fan storici della band.

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