Recensione: Dawn Of The 5th Era

Di Daniele D'Adamo - 4 Dicembre 2014 - 0:01
Dawn Of The 5th Era
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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81

Ritenuti in passato quale semplici cloni di Campioni del melodic death metal quali At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity – nonché dei connazionali Children Of Bodom – ai Mors Principium Est è bastato dare alle stampe il fenomenale “…And Death Said Live”, due anni fa, per lasciare il segno sul campo. Un segno profondo e indicativo di un’autonoma personalità, rispetto agli ingombranti nomi più su elencati, tale da rendere i Nostri ben visibili nel firmamento delle stelle del death metal melodico.  

“Dawn Of The 5th Era”, questo il titolo del quinto album partorito dall’indomito spirito di Ville Viljanen – vocalist attorno al quale ha ruotato la formazione finlandese sin dalla nascita (1999) – , mostra sulla carta tutte le necessarie caratteristiche per onorare nel migliore dei modi il celebrato predecessore. Cominciando da registrazione, missaggio e masterizzazione, realizzate presso gli svedesi Panic Room Studios (Scar Symmetry, Solution.45, Watain). Passando dal cover artwork disegnato da Alexander von Wieding (Tankard, Karma To Burn, VOLCOM, High Roller, SPV, Napalm). Chiudendo con il significativo cambio di un chitarrista, e cioè del giovane francese Kevin Verlay [Agressor, Nibirus, Omega, Aborted (live, basso), Dictated (live, basso)] in vece di Andhe Chandler.

Un avvicendamento, questo, che in teoria – per via del background culturale – avrebbe dovuto rendere più aggressivo il già possente sound del quintetto di Pori e che, in effetti, produce l’effetto previsto. Il devastante main riff di “God Has Fallen”, tanto per mettere subito le cose in chiaro, suffraga tale sensazione miscelando sapientemente la grande aggressività del riffing natio del thrash al classico tocco del guitar-hero. Una dimostrazione di classe assoluta, che pone il duo Gillion/Verlay ai vertici del metal internazionale. In tema di musica estrema e non. “God Has Fallen”, inoltre, lascia intravedere una fermezza compositiva altrettanto assoluta, frutto evidente di un minuzioso lavoro a tavolino che non lascia nulla al caso. Come sempre accade in questi casi, a una dose maggiore di razionalità corrisponde un minor peso dell’emotività. Con che, scorrendo le song di “Dawn Of The 5th Era”, si sente sulla pelle un minor coinvolgimento sentimentale, parlando proprio di cuore e non di ragione, rispetto alle incredibili e più articolate armonie di “…And Death Said Live”. Anche se, è bene evidenziarlo, ci sono sempre e comunque attimi d’immane maestosità, come per esempio in “Leader Of The Titans”, atti a urlare al Mondo che, comunque sia, i Mors Principium Est sono sempre lì, a stupire con i loro mirabolanti effetti speciali.

Anche in questo caso ove, per l’appunto, il gigantesco sforzo profuso in ogni componente che contraddistingue il moderno melodic death metal dà adito a interpretare in maniera più commerciale “Dawn Of The 5th Era”. Seppur ci si trovi in ogni caso, e in ogni istante (escluso la morbida e trasognante “Apricity”), innanzi a un ‘wall of sound’ spesso decine di metri. Granitico, pesantissimo e graffitato in maniera bellicosa. Del resto, nonostante passino i lustri, Ville Viljanen resta un signor cantante, assai bravo a districarsi fra isterici screaming à la black metal e rabbiosi growling da manuale del genere. Lasciando agli altri il compito di abbellire i ritornelli con le clean vocals. Ritornelli, per l’appunto, che escono fuori da ogni song con una semplicità e fluidità disarmante, tanto più che, si ribadisce, vengono interpretati da Viljanen in modo assai cattivo. Senza alcuna concessione a voli pindarici fra le vette dei toni acuti, anzi.    

Il tutto si può riassumere osservando che, probabilmente, la più grande consapevolezza nei propri mezzi acquisita nell’ultimo biennio ha trasformato in professionisti da modello enciclopedico il buon Ville e i suoi compagni d’avventura. Roba da tramandare ai posteri per via di un rigore stilistico praticamente senza pari o quasi, nella tipologia musicale di cui trattasi. Qualche tuffo al cuore in più, tuttavia, avrebbe fatto molto, molto piacere.

Daniele “dani66” D’Adamo

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