Recensione: De doorn

Di Matteo Pedretti - 24 Luglio 2021 - 7:00
De doorn
Band: Amenra
Etichetta: Relapse Records
Genere: Post Metal  Sludge 
Anno: 2021
Nazione:
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95

A quattro anni di distanza da “Mass VI” gli Amenra tornano con il nuovo “De doorn”. Certamente una lunga attesa, ma la gestazione di buona musica è spesso un processo impegnativo e tutt’altro che lineare, specie se gli autori, come quelli in questione, prendono molto seriamente il proprio ruolo e si prefiggono standard qualitativi elevati sia sotto il profilo sonoro che lirico e concettuale. E anche questa volta Colin Van Eeckhout e compagni hanno confezionato un disco grandioso, probabilmente il migliore, sicuramente il più vario, della loro carriera.

Del resto la storia del gruppo, formatosi nel 1999 a Kortrijk, nelle Fiandre Occidentali, è quella di una continua tensione alla ricerca espressiva e alla crescita artistica e personale. In ambito più prettamente musicale ne è un esempio il ciclo di album “Mass” con cui la band, muovendo da inizi sostanzialmente ascrivibili al Post Hardcore, ha progressivamente delineato quel sound che è poi divenuto il proprio marchio di fabbrica: un Doom/Sludge granitico, progressivo ed atmosferico con frequenti inserti Post Metal/Hardcore. Altra dimostrazione della propensione del quintetto alla sperimentazione è rappresentata dalla partecipazione al collettivo Church of Ra, di cui fanno parte, oltre agli Amenra, numerosi altri artisti, dalla cui collaborazione sono scaturite realtà come Oathbreaker, Kingdom, Syndrome, Hessian, The Black Heart Rebellion, CHVE e Wiegedood. Ma Church of Ra va ben oltre alla musica, con progetti che spaziano dalle arti visive alla coreografia.

“De doorn”, uscito lo scorso 25 giugno via Relapse Records (dopo la fine del sodalizio con l’indipendente Neurot Recordings) è ultimo tassello di una discografia che conta qualcosa come cinque LP, sei EP e oltre una decina di split. In queste cinque nuove composizioni appare evidente come i Belgi, pur riproponendo il proprio stile e senza concedere terreno in fatto di ruvidità, si siano orientati verso un approccio maggiormente atmosferico e riflessivo, mettendo a punto una proposta più sfaccettata e completa dei suoi già ricercati predecessori. Il quadro è infine definito da una produzione compatta ed essenziale e da un artwork decisamente minimalista.

La lunga intro Ambient/Drone della opener “Ogentroost”, su cui si posano parole flebili, poco più che sussurrate, enfatizza la sensazione di calma apparente che precede una tempesta che si sa essere in arrivo e che, in effetti, scoppia quando, nella seconda parte, il pezzo si evolve in un macigno Sludge/Post Metal. Il brano, nonostante la pesantezza, riesce a risultare piuttosto elegante, anche grazie ai contributi vocali della guest vocalist Caro Tanghe, carismatica front woman degli Oathbreaker, che troviamo anche nella successiva “De dood in bloei”, un passaggio Ambient che precede una seconda esplosione, quella di “De evenmens” in cui Colin si destreggia tra urla disperate, spoken words e linee pulite, infondendo a questo episodio una notevole variabilità.

In “Het gloren” la lentezza e la voluta ripetitività del Doom definiscono una sorta di effetto circolare ed etereo; se rimane ancorata a terra è solo grazie all’immediatezza del cantato Hardcore. Nella seconda sezione della traccia si distinguono trame Alternative Rock, riprese più organicamente nella conclusiva “Voor immer” che, nei suoi 12 minuti abbondanti, è suddivisa in tre momenti che si susseguono con un andamento concettualmente Progressive. Inizialmente chitarre e parlato si intrecciano in un mood che chiama in causa i Tool, un’influenza sicuramente importante, tanto da spingere la band a includere nella set list dei live acustici del 2016 una cover di “Parabol”). Quasi impercettibilmente i sussurri si trasformano in un cantato armonioso e la musica acquista gradualmente intensità conducendo all’ultimo wall of sound su cui sfuma l’album.

“De doorn” si rivela un’esperienza capace di consumare emotivamente ed elettrizzare allo stesso tempo: evoca immagini, emozioni e sentimenti e le offre in modo incredibilmente personale, immediato e autentico.  Mai come in questa occasione gli Amenra si sono messi a nudo svelando, oltre alla multidimensionalità sonora, inquietudine, fragilità, rabbia, riflessività e nostalgia, stati d’animo in cui l’ascoltatore non faticherà a ritrovarsi, grazie all’abilità di questi musicisti nel trovare le note adatte per rappresentali. L’attesa per “De doorn” è valsa la pena: probabilmente lo troveremo nella top ten di fine anno di molti appassionati del genere, sicuramente sul podio di quella di chi scrive…

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