Recensione: Death Covenant

Di Daniele D'Adamo - 6 Gennaio 2023 - 0:00
Death Covenant
Band: Arallu
Etichetta: Hammerheart Records
Genere: Black 
Anno: 2022
Nazione:
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77

arallū: nome babilonese e assiro del regno dei morti. Ne è regina la dea Ereshkigal, che sola può consentire l’ingresso delle ombre nella città infernale, circondata da sette mura con sette porte doppie custodite da guardiani. [Enciclopedia on line Treccani]

Arallu, giunti al loro ottavo full-length in carriera, “Death Covenant”, originari d’Israele ma con mente e anima traslate nelle antiche terre che hanno ospitato Assiri e Babilonesi. Culla della civiltà ma anche di antiche divinità come lo sposo di Ereshkigal, dio del calore solare, del fuoco, delle inondazioni e delle pestilenze.

Premessa necessaria, quella sopra, per addentrarsi con cognizione di causa negli orrorifici meandri della psiche più profonda, ove albergano Butchered e i suoi compagni. Viaggio che presenta un incipit raggelante nel canto arcaico di un muezzin (‘End ov Wars (Tikva)’), che rimanda a ere lontane.

Entrando nello specifico, la band di Ma’ale Adumim vive in una sorta di limbo in cui coesistono assieme black e death metal. Tuttavia, per una questione spirituale e per la presenza di alcuni dettami decisivi, orientata senza dubbio verso il ridetto black metal.

La questione etnica è di grande rilevanza, nella proposta musicale dei Nostri, poiché essi non si limitano a spruzzare qua e là note provenienti da strumenti tradizionali. No, al contrario, la presenza di questi ultimi è continua, soffocante, tale da caratterizzare lo stile in maniera praticamente unica nelle lande del metallo oltranzista. Il saz, o chitarra turca, è onnipresente in tutti i brani che compongono l’album. Con la conseguenza di connotare, assieme alla strumentazione elettrica, l’unicità dello stile di cui si è più su accennato.

Strumentazione elettrica che, assieme alla sezione ritmica, dà luogo a un sound violentissimo, devastante, squarciato dalla furia dei blast-beats sparati a velocità supersonica da Richard Zwaigoft (‘Under Jerusalem’s Temple Mount’, ‘Desert Shadow Will Rise’). Il già citato Butchered, assieme a Ofek “Omnius” Noy, originano una caterva di riff granitici, massicci, dal sapore di blackened death metal. Niente… zanzarifici, insomma. Un lavoro alle sei corde, invece, che funge da struttura portante di un suono sterminato ma perfettamente rifinito in tutti i suoi dettagli. Merito dell’abilità dei quattro cavalieri dell’Oscuro ma anche di una produzione chiara, pulita, sì da rendere il tutto irreprensibilmente intelligibile. Tenuto anche conto che fa parte della banda anche il darbuka, strumento musicale a percussione utilizzato tradizionalmente in Nord Africa, Medio Oriente e Asia centrale.

Tenere tutto assieme in maniera ordinata e coesa non è certamente un’operazione semplice da portare a compimento ma, grazie – anche – a un’esperienza venticinquennale che suggella l’insieme, l’obiettivo viene centrato in pieno. Butchered, inoltre, si rivela un cantante versatile, in grado di passare tranquillamente da una foggia vocale all’altra, non disdegnando le clean vocals.

L’impianto delle canzoni è anch’esso di buon livello. Le dieci tracce del disco scorrono veloci con un’encomiabile continuità nel procedere lungo la via maestra. Esse si susseguono unite da un unico filo conduttore che le rimanda allo stile dell’ensemble medio orientale. Ma, nonostante ciò, ciascuna con una propria personalità. Si passa quindi dai botti termonucleari di segmenti come ‘Satanic Spirit’ alle morbide atmosfere di ‘Mystical Sultan’, in cui emerge una forma melodica che male non fa. Non si tratta certamente di pennellate catchy, quanto di passaggi in cui trova piena caratterizzazione ciò che s’intende per armonia. Armonia orientale che, per essere assorbita dai cervelli europei, abbisogna di parecchi ascolti dell’LP.

Concludendo, si può ritenere raggiunto il bersaglio di coniugare senza errori una musica nata nei paesi scandinavi con quella che vive come un serpente che scivola su terreni di sabbia rovente. “Death Covenant” può piacere sia ai fan del black, sia del death metal. E gli Arallu? Davvero molto, molto bravi in tutto quello che concerne la realizzazione di un’opera adulta, matura, interessante, priva di difetti e cali di tensione.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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