Recensione: Death is Coming

Di Alessandro Calvi - 31 Gennaio 2004 - 0:00
Death is Coming
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Anno: 2003
Nazione:
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72

Come i vecchi vinili, è così che comincia questo secondo disco dei nostrani Frostmoon Eclipse, cioè con un breve spazio vuoto, inframmezzato dalle classiche scariche dovute alla puntina sul disco, che fa da preludio all’inizio di The Darkest Season of Humanity.
La musica proposta dai Frostmoon Eclipse è un black grezzo di stampo piuttosto classico, oltretutto reso ancora più aderente allo spirito iniziale del movimento da una produzione non eccezionale. Su questo punto si potrebbe discutere a lungo se sia più un difetto o un pregio, a seconda del punto di vista. Non è questo però nè il momento nè il luogo per simili digressioni e quindi ci limiteremo a parlare di questo Death is Coming come è giusto che sia.

Come si diceva l’album si apre alla maniera dei vecchi vinili, è questo l’intro scelto per l’inizio di The Darkest Season of Humanity, si tratta di una canzone che inizia veloce e lascia spazio durante il tempo della sua durata ad alcuni momenti più lenti in cui compare anche la chitarra acustica. Strumento anomalo questo per un genere come il black metal che comunque non risulta fuori posto nell’economia dei brani dei Frostmoon Eclipse.
Tornando sulla questione della produzione nel caso specifico di questo disco non posso dire che sia del tutto un fatto positivo. Personalmente appartengo a quella categoria di persone che pensa che un disco come Transilvanian Hunger se avesse avuto una produzione sopraffina sarebbe stato rovinato, la sua bellezza viene proprio dall’essere grezzo. Purtroppo la stessa cosa non si può dire di questo Death is Coming, in questo caso la cattiva produzione toglie spessore agli strumenti che potrebbero risultare molto più incisivi, molto più aggressivi.

Nel complesso questo disco devo ammettere che mi è piaciuto, ma ogni singolo brano mi ha lasciato un retrogusto di amaro in bocca. Le canzoni funzionano, si lasciano ascoltare e molto bene, ci si rende conto in fretta che questa è una band con delle capacità. Purtroppo però c’è questo senso di incompletezza che l’ascolto del disco mi lascia, non si tratta di qualcosa che manca però, è il fatto di sentire distintamente che con una produzione migliore e dei suoni più pensati, questo album avrebbe potuto dire di più. Gli strumenti si sentono tutti, non ci sono grosse pecche dal punto di vista dei volumi, ma tutti i suoni, chitarre, basso e batteria avrebbero potuto essere più incisivi, così invece sono piuttosto piatti.

In conclusione un disco che sicuramente piacerà a tutti gli appassionati del black più grezzo, siamo di fronte a una band con delle capacità che avrebbe bisogno di un supporto maggiore, purtroppo dal mio punto di vista il disco avrebbe potuto suonare molto meglio se fosse stato assistito da una migliore produzione.

Tracklist:
01 The Darkest Season of Humanity
02 Wolves are Hungry
03 The Black Tide
04 Funeral
05 World in Ruin
06 In a Sea of Blood
07 Blindness
08 Waiting for the Storm

Alex “Engash-Krul” Calvi

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