Recensione: Dedalo e Icaro
Originaria di Savona, Il Cerchio d’Oro è una band attiva dal 1974, con una storia peculiare. Nei Seventies suona un progressive rock vicino a quello de Le Orme, ma pubblica solo tre singoli (e alcune tracce prevedono anche la soluzione di un trio tastiera-basso-batteria), senza mai firmare un contratto discografico. Per farsi un’idea di questo primo sound è utile ascoltare La quadratura del cerchio, album del 2005, che raccoglie quanto di buono proposto ab ovo dai liguri e contiene anche brani inediti, tra cui cover di New Trolls, Le Orme e The Trip.
A inizio anni Ottanta i fratelli Terribile collaborano con il gruppo hard rock Black Out e con i Cavern, band tributo ai Beatles, che vedeva in line-up anche Roberto Giordana.
Il Cerchio d’Oro rinasce nel 2006 e due anni dopo pubblica il primo album in studio, Il viaggio di Colombo, un affascinante concept album sulle vicende del navigatore-sognatore, che vede confermati tutti i membri originali del gruppo e propone sonorità che riscoprono il dettato anni ’70.
Il recente Dedalo e Icaro prosegue in questa direzione nostalgica e raffinata, con la presenza di ospiti illustri come Pino Sinnone (The Trip), Giorgio Piazza (PFM), Ettore Vigo (Delirium) e Martin Grice (Delirium).
All’inizio del viaggio tra mitologia e sogno, troviamo un opener dall’attacco soffuso, che poi cresce con l’ingresso delle chitarre distorte e di un hammond sovrano. Pregevole l’apporto di Athos Enrile al mandolino. I testi sono in rima: «Sono un genio, sono un mito, invento attrezzi all’infinito […] il mio nome è colui che lavora con arte». Il brano delinea un corrivo ritratto di Dedalo, architetto, scultore e inventore (“daidalos” in greco vale “lavorato con arte”), protagonista della vicenda, pieno di sé e geloso dei propri segreti. Per chi non lo sapesse, realizzò anche l’ingegnosa mucca lignea che rese la moglie di Minosse, Pasifae, madre del Minotauro. E proprio a Creta si deciderà la sua vita: dopo aver edificato il famoso labirinto viene qui imprigionato per non rivelarne a nessuno i segreti.
La traccia seguente, “Labirinto” presenta cinematograficamente proprio l’iperluogo leggendario in quel di Cnosso, a volo d’uccello, con synth ariosi che fanno da padroni per due minuti buoni. Subentra, poi, un basso pulsante e un ostinato magnetico con fill sincopati di batteria. Trova spazio anche uno stacco di pianoforte (al min. 4:32) e un flauto traverso jethrotrulliano porta una ventata d’ecletticità con la giusta sprezzatura.
“La promessa” inizia con un «Maledetto me» su armonizzazioni vocali di scuola Yes. Dedalo si rivolge sconsolato al figlio Icaro, lamentando l’altezza inaccessibile delle mura in cui sono stati confinati. Il break al min. 2:32 richiama i Gentle Giant (ma ci sarebbe stata bene anche una doppia cassa). Il brano è forte anche del migliore assolo di chitarra del disco, su batteria cronometrica degna dei Camel. Al sesto minuto un riff di basso introduce un sapido dat synth (oggi riscoperto, nelle ballad, pure da un gruppo come i Dream Theater). Nella lunga parte strumentale non mancano cadenze che lasciano spazio all’inventiva del Terribile batterista.
Incipit mesto e raccolto per “L’arma vincente”: «Lui mi ha detto “non andar più su”, sento che non l’ascolterò». L’apporto di chitarra acustica a 12 corde è unico e riempie in modo inconfondibile ogni andito sonoro. Il pezzo prosegue con un andamento pensante, tra parti di batteria “in loop” e tanta fantasia delle tastiere.
Suoni à la Wakeman per i primi secondi di “Una nuova realtà”, brano grintoso, che ripresenta atmosfere sospese. Al min 3:18 brilla uno stacco da brividi pianoforte-hammond, poi ritorna la voce di Dedalo che pensa alla creazione del nuovo per sconfiggere un tabù noto, con malcelato ottimismo («E come una fiaba vivrò […] dentro il vento io dialogherò»).
“Oggi volerò” inizia bluesy e spigolosa con terzine diminuite. L’architetto pre-leonardiano dà sfogo alle sue speranze concretizzate: «Quanto ho atteso, non so più che giorno è […] qui finisce il mio tormento […] riprendo in mano questa vita mia». Il volo è il sogno di ogni uomo, anche nell’epoca di compagnie aeree e shuttle; ecco perché suona sempre catartico il convincimento di Dedalo: «Volerò da solo, via da solo». Ali di libertà, che vincono le leggi della fisica e della costrizioni dell’uomo sull’uomo.
“Il sogno spezzato” ha il main-theme, nella sua semplicità, meglio concepito dell’album. Tappeto di pianoforte in levare e linee vocali su registri alti. Al min 2:09 inizia una breve parte strumentale trascinante con tempi dispari che più prog non si può. Ex abrupto avviene il tragico e apprendiamo che: «Le sue [sc. di Icaro] ambizioni si sciolsero al sole come la cera delle sue ali». Il sogno dell’uomo di genio naufraga alla vista del figlio morente. Testi dalla sintassi sconvolta per l’epitaffio dello sventurato:« Non fu il coraggio ma la vanità, d’Icaro la fine».
Il brano conclusivo, “Ora che son qui” riserva una sorpresa inaspettata: dopo un incipit di pianoforte, chitarre acustiche e voci (filtrate da echi lontani), alcune note finali di sax imprimono un sigillo di mesto sconforto. Dedalo rimpiange il figlio, ma sa che la sua fame di vita non gli avrebbe mai permesso di arrendersi a una prigionia coatta. L’inventore lascerà Creta, per rifugiarsi prima in Sicilia e poi in Sardegna. Minosse non riuscirà mai a metterlo a tacere circa i segreti del suo labirinto.
Cos’altro aggiungere? Il cerchio d’oro ha composto un disco degno della miglior tradizione progressive italiana, che ultimamente gode di un ritorno di fiamma con band come Ingranaggi della valle, Il tempio delle clessidre, La torre dell’alchimista e molte altre.
In definitiva un album suggestivo, con sincera attitudine prog. (si vedano i sempre ottimi cambi di tempo e unisoni a iosa) a opera di strumentisti con anni di esperienza alle spalle, e valorizzato dalla consapevole ricerca di un sound anni Settanta e un concept senza tempo, con testi non privi di poesia.
Per chi non si accontenta, tra i video contenuti nel bonus cd, allegato all’album, segnalo infine la cover di “Impressioni di settembre” registrata nel 2012 presso l’Audorium E. Simonetti di Alassio.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)
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