Recensione: Defacement

Di Daniele D'Adamo - 24 Settembre 2021 - 0:00
Defacement
Band: Defacement
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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78

Nati come side-project dei Deathcrush, band underground di black metal, i Defacement hanno via via assunto dignità di gruppo a sé stante e non più costola di un’altra creatura vivente.

“Defacement” è il loro omonimo full-length, che segue a distanza di due anni “Deviant”.

Spaventoso il genere suonato: death metal brutale, oscuro, caotico, dalla potenza terrificante. Un magma sonoro che ruota vorticosamente attorno all’asse della follia. La produzione, volutamente involuta, è talmente sporca da lasciare intravedere con parecchia difficoltà ogni singolo elemento che compone la band olandese. Una cupa atmosfera più pesante dell’aria, difatti, avvolge il disco avviluppandolo come un boa stringe le sue prede. Della superficie di questo immaginario pianeta, quindi, si può scorgere ben poco. Il che è una circostanza voluta per realizzare un sound titanico, gigantesco, totale.

Davvero complicato, quindi, riuscire a discernere con chiarezza gli strumenti. La voce, se così si può dire, è un lungo rantolo realizzato con un growling lisergico da Forsaken Ahmed, anche bassista. La chitarra di Khalil Azagoth cuce riff mostruosi, atti a innalzare un muro di suono anch’esso indefinito talmente esteso nelle sue componenti planari. Da esso, come macabre sculture, emergono soli malati, a volte quasi stanchi, che tuttavia riescono a lacerare il denso etere circostante. Mark Bestia, rendendo merito al suo nome, scarica costantemente a terra micidiali bordate di blast-beats. Assolutamente imprescindibili, almeno a parere di chi scrive, per amalgamare quanto più possibile il suono.

Le canzoni non paiono differenziarsi più di tanto anzi. Ma sarebbe un approccio erroneo pretendere di trovare dei caratteri univoci per gli otto episodi che compongono il platter. Poiché, come più su accennato, “Defacement” va affrontato nella sua globalità e non nelle sue singolarità. Solo così, difatti, si può penetrare la dura scorza del succitato pianeta per entrare nel Reame dell’Allucinazione. Operazione facilitata da quattro agghiaccianti intermezzi ambient: ‘Limbo I’, ‘Limbo II’, ‘Limbo III’ e ‘Limbo IV’. La trovata di separare le song vere e proprie da quattro elementi in cui si scatena un’ampia forza visionaria si può affermare sia riuscito. E questo giacché la mente di chi ascolta possa essere preparata al meglio per il successivo schianto apocalittico di ‘Shattered’, ‘Disavowed’, ‘Disenchanted’ e ‘Wounded’, tutte caratterizzate dall’essere suite a se stanti.

Ecco allora che subentra la magnifica trance da hyper-speed. Tutto è così rapido, convulso, agitato, che si sprofonda materialmente fra le braccia dei tre psicotici musicisti. Essi aprono improvvisi paesaggi alieni, lontani infiniti anni luce, ove scrutare cieli stellati sconosciuti, per poi richiuderli onde penetrare nella materia oscura. Per sognare esistenze perdute, emozioni scivolate sul cuore come lacrime salate, attimi e istanti di vita passata. Amori, passioni, persone, tutte scorrono via velocemente all’andare degli inumani BPM. Perché, sì, l’obiettivo dei Nostri, ben chiaro a questo punto, è quello di sminuzzare e dissolvere tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta l’Umanità nel suo percorso attraverso i secoli.

Un sorta di Apocalisse sonora, per meglio dire, che spinge piano piano l’ascoltatore nel nulla assoluto, ove si frantumano gli atomi appartenenti a memorie di ere millenarie, per addormentarsi negli eoni a venire. Solo questa, in definitiva, è la chiave di lettura di “Defacement”. E solo così può essere assorbito appieno a occhi chiusi. Altrimenti, può apparire, erroneamente, come un cosmico coagulo di note senza capo né coda.

In ogni caso “Defacement” è un LP assolutamente da provare per immaginare la propria esistenza muoversi a ritroso, risucchiata dalle sabbie mobili del tempo, sino a toccare la primigenia matrice al plasma.

Daniele “dani66” D’Adamo

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