Recensione: Desdemona

Di Giorgio Massimi - 24 Ottobre 2020 - 11:30
Desdemona
Band: Rossometile
Etichetta: Autoproduzione
Genere: Gothic  Symphonic 
Anno: 2020
Nazione:
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65

Desdemona è il quinto lavoro dei salernitani Rossometile, gruppo in attività dal 1996. Nella loro biografia si legge che nei lavori precedenti sono passati per quasi tutti gli stili musicali conosciuti, prog, alternative, metal, pop, ghotic… fino a creare un marchio di fabbrica personale e identificativo, chiamato appunto Rossometile Questo fa venire alla memoria, mutatis mutandis, i Rhapsody of Fire e il loro famoso Hollywood Metal, ma saranno riusciti questi ragazzi, attraverso contaminazioni tra vari generi e le tante esperienze discografiche accumulate, a tirare fuori dal cilindro un nuovo modo di fare e pensare la musica? La risposta purtroppo non è delle più positive, non basta mischiare un po’ delle influenze musicali più disparate e usare qualche strumento dimenticato nel tempo per dar vita a qualcosa di originale.

Peccato, tuttavia, perché il disco parte bene con “Desdemona”, pezzo che si rifà proprio ai Rhapsody of Fire nel suo incedere epico, con la voce di Ilaria Hela Bernardini che passa con disinvoltura da partiture rock/pop a fraseggi lirici senza perdere di credibilità; il brano è semplice ma tirato e i testi in italiano (scelta coraggiosa che va sempre premiata) sono davvero interessanti. Il secondo pezzo, “Oblivion”, è una ballad gradevole con un ritornello che rimane subito impresso nella mente e un bell’assolo di chitarra di Rosario Runes Reina che coglie nel segno. “Hela e il corvo” è il momento migliore di tutto l’album e ci turba con una trama davvero struggente: Hela, la protagonista, cerca di mettersi in contatto con la sorella appena morta e lo fa tramite un corvo, creatura che in molte leggende e racconti fa da tramite tra il modo dei morti e quello dei vivi… La narrazione è davvero da brividi, ben studiato e ricercato anche l’intreccio di voci che si rincorrono per tutto il pezzo e la melodia centrale cantata da Ilaria sembra ispirata a Luis Bacalov di Milano calibro 9 degli Osanna, insomma davvero un ottimo brano oscuro e profondo.

Purtroppo però da questo momento in poi il disco si impantana in un acquitrino stagnante dal quale non riesce più a venir fuori, se non per qualche breve momento. ”Sole che cammini” e “Storie d’amore e peste” sono due ballate prive di efficacia dai testi poco curati e dalle liriche forzate, così anche la bella voce di Ilaria fatica a esprimersi al meglio. La successiva “Rosaspina” sembra invece la sigla malriuscita di un cartone animato anni ‘80 con melodie infantili e una struttura del brano troppo elementare; “Mist” è un breve interludio dove si sperimenta la tecnica vocale kulning (un suono prodotto con la voce utilizzato in antichità nei paesi scandinavi per richiamare il bestiame), interessante ma di certo non memorabile. Tutt’altro che memorabile è pure la successiva “Nox arcana”, altro lento dal buon arrangiamento ma dalla parte melodica assolutamente trascurabile; più intensa invece la strumentale “Whales of the Baltic Sea Orchestra” che grazie alle sue atmosfere diluite e rarefatte ci fa immergere nel mar Baltico insieme alle balenottere azzurre, suggestivo anche l’impiego della cornamusa medievale che dà al brano un tocco di magia.

Si tratta comunque di un bel momento che rimane isolato nella sezione finale del disco, che si trascina verso la sua conclusione. Nemmeno gli ultimi due brani riescono a diradare la coltre di nebbia che avvolge il tutto. “Boia misericordioso”, anche se è un buon pezzo, non ha quel cambio di marcia che servirebbe dopo tanti momenti statici, le liriche però  tornano a essere un minimo accattivanti e misteriose al punto giusto, e gli strumenti risultano ben amalgamanti tra di loro. Chiude le danze l’ennesima ballad, “Canzone del tramonto”, che non lascia nessun segno, né in positivo, né in negativo e scorre via anonima.

Alla fine i Rossomelite non convincono, forse perché non hanno ancora chiare le proprie idee circa la strada da prendere, forse per aver messo troppa carne al fuoco volendo accontentare un pubblico vasto. Interessante l’inserimento di strumenti medievali, però non risultano decisivi soprattutto per colpa di una produzione davvero ai limiti; il disco ha comunque dei buoni momenti e si lascia ascoltare, però non regala mai quel guizzo decisivo che avrebbe potuto elevarlo al disopra del già sentito. Peccato perché le potenzialità ci sono, il cammino per esprimerle invece è ancora lungo…

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