Recensione: Detritus of the Final Age

Di Andrea Bacigalupo - 11 Novembre 2020 - 8:30
Detritus of the Final Age
Band: Harlott
Etichetta: Metal Blade
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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72

Tornano gli australiani Harlott con ‘Detritus of the Final Age’, quarto album disponibile dal 13 novembre 2020 attraverso Metal Blade Records.

Rispetto al lavoro precedente, ‘Extinction’ del 2017, la band è stata rinnovata per metà con l’ingresso del chitarrista Leigh Bartley e del batterista Glen Trayhem in sostituzione, rispettivamente, di Jake Weber e Tim Joyce.

Una nuova formazione compatta e granitica, che nulla rinnega del passato del combo, in particolare le influenze esercitate da band tipo Slayer e Dark Angel che tracimano anche dal nuovo disco, ma che cerca comunque di dare un marchio distintivo al proprio sound, introducendo elementi più moderni ed oscuri uniti ad uno stile tagliente ed incisivo.

Come il manuale del buon Thrasher edizione 2020 prescrive, ‘Detritus of the Final Age’ è un album, essenzialmente, dal tiro aggressivo e violento, incentrato sul pestaggio sonoro, sulla velocità e sulla corposità delle ritmiche e su una voce sprezzante e prepotente, che urla in modo chiaro e determinato tanto la sua rabbia quanto il suo dolore.

Riff segaossa si alternano con linee melodiche fulminee, generando un tessuto sonoro denso e di forte impatto, completato con refrain più orecchiabili, qualche arpeggio sospensivo e momenti terribilmente oscuri e ansiogeni, come feroci attacchi di blast beat e lancinanti chitarre serrate allo spasimo.

Fondamentali sono un paio di pezzi, che, uscendo con prepotenza dagli schemi (‘Bring on the War’ e ‘Grief’) ed essendo ben piazzati nella scaletta, spezzano l’andatura del lavoro, mantenendo vivo l’interesse ed evitando che questo possa diventare prolisso.

L’album è composto da dieci tracce, per una durata complessiva prossima ai cinquanta minuti.

Tra questi si citano il brano d’apertura ‘As We Breach’, durissimo e senza pietà nel suo incedere aggressivo, suddiviso in cadenza furiosa e velocità assassina, con un assolo verso la fine che apre per un attimo uno spiraglio di luce, subito spento dal successivo assalto ad opera delle ritmiche serrate sostenute da una indomabile sequenza di blast beat.

L’energica ‘Idol Minded’ è altrettanto letale, con la sua melodia falciante ed il bombardamento ritmico nell’interludio, mentre la già segnalata ‘Bring on the War’ è il primo stacco: un oscuro e granitico tempo medio che avanza, marziale e autoritario, accelerando man mano che si sviluppa fino ad incontrare un assolo sofferto, poi il pezzo esplode e diventa una folle corsa senza freni.

Folle corsa che prosegue con la title-track ‘Detritus of the Final Age’, con le sue strofe in Slayer style, il refrain potente e coinvolgente, le linee melodiche ficcanti e l’interludio colmo di rabbia.

Lo spartito di ‘Nemesis’, che si avvicina agli otto minuti, è quello di una mini suite che alterna la sofferenza alla rabbia di chi continua a combattere. La forza e l’energia perdurano nell’intercalare dei cambi di tempo, con i picchi nell’infernale refrain e nell’assalto ritmico centrale.

Grief’ è il secondo stacco: pesante e fosca, tranne che nella sezione accelerata verso la fine, è carica di odio, con la voce che esce furiosa dalle tenebre accompagnata da ritmiche rallentate ma taglienti come rasoi.

L’oscurità continua ad avvolgerci all’inizio della seconda mini suite, ‘Miserere of the Dead’, che poi parte potente e sfrenata, con la parte centrale densa e penetrante.

Chiude ‘The Time to Kill Is Now’, iperveloce, spasmodica, carica di indomabile Hardcore, un gran calcio nelle gengive.

Detritus of the Final Age’ non può dirsi un album innovativo, però il risultato c’è e con esso gli Harlott hanno fatto un bel passo avanti. Speriamo che la band abbia una forma stabile ed attendiamo gli sviluppi.

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