Recensione: Double Vision

Iniziamo col specificare che i Double Vision che tratteremo quest’oggi non sono il duo eurodance spagnolo in voga qualche anno fa, ma un’omonima band statunitense, a dir la verità già attiva da qualche anno. Tutto nasce dall’idea di un gruppo di musicisti di una certa esperienza, appassionati dei Foreigner, formazione anglo americana scalatrice di classifiche tra il finire degli anni 70 e i primi 80. La passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie, cantava Fabrizio De André, che nel caso dei Double Vision consiste, appunto, nel formare una tribute band dei Foreigner, prendendo spunto dal loro secondo album per la scelta del nome.
Così, una volta completato l’organico, la band può iniziare questa sua avventura con cui divertirsi a suonare, fare un po’ di concerti e magari mettersi in tasca un po’ di grana (cosa c’è di male, in fondo, a ricavarne anche qualche spicciolo?). I Double Vision funzionano e cominciano a farsi un certo nome, prima sulla costa occidentale e poi in giro per tutti gli Stati Uniti. Un successo frutto, non solo dell’attrattiva che la musica dei Foreigner suscita ancora, ma anche dalle capacità dei singoli componenti. La formazione infatti, vede tra le sue file nomi abbastanza noti nella scena rock di New York, come il cantante Chandler Mogel (Outloud, Lunar, Jeff Waters’ Amerikan Kaos, Punky Meadows), il batterista Scott Duboys (Warrior Soul, Cyrcle Sluts From Hell, Cities, Nuclear Assault), il bassista Scott Metaxas (ex-Prophet, ex Nuclear Assault), i chitarristi Chris Schwartz e Paul Baccash, ed il tastierista Alex Lubin.
Vista la giusta sintonia creatasi, i nostri decidono allora di provare a comporre canzoni proprie con cui dare spazio alla loro creatività. Come si può facilmente immaginare, i Foreigner sono certamente una grande fonte d’ispirazione per i Double Vision, ma come la band stessa specifica, si è anche cercato di dare ai brani un’impronta personale.
“Volevano realizzare un disco che fosse totalmente nostro, ma che contenesse comunque un omaggio ai Foreigner. Non volevano qualcosa di derivativo, ma allo stesso tempo qualcosa che piacesse ai fan della band. Se prendessimo tutte le diverse epoche dei Foreigner e le unissimo in una sola, insieme ad altre influenze sporadiche, ne uscirebbe qualcosa di simile ai Double Vision.“
A questo punto entra in scena la Frontiers Music, sempre attenta alle novità nel campo dell’hard rock melodico, la quale mette sotto contratto la band per la realizzazione di questo omonimo album. Il materiale contenuto in quest’opera è un hard rock/AOR con un gusto volutamente vintage. Una proposta retrò, ma che riesce ancora ad emanare un certo fascino.
Fin dalle prime note della vivace Prison of Illusion, il combo Newyorkese, sembra già avere i giusti giri. Il pezzo si presenta come un hard rock elegante con arrangiamenti curati sui quali la voce di Chandler Mogel ricama trame accattivanti. Il tutto viene ulteriormente arricchito con l’aggiunta di un sassofono che sarà ancora presente in altri episodi del disco. No Fool for Love si mantiene sempre sui terreni di un rock vivace, con il suo punto di forza in un bel ritornello luminoso. La guitar oriented Youphoria mette in mostra un volto solare, mentre I Know the Way si concentra su di un rock dall’attitudine radiofonica.
Nei Double Vision ognuno svolge il suo compito con mestiere: Mogel dimostra di essere la persona giusta per il ruolo assegnatogli, le chitarre di Schwartz e Baccash, pur non essendo mai eccessive, regalano di tanto in tanto riff ed assoli focosi. Scott Duboys dal canto suo evidenzia un tocco di batteria abbastanza deciso, retaggio magari del suo passato da thrashers, quando militò per un periodo nei Nuclear Assault prima dell’arrivo di Glenn Evans.
Il tributo alle ballate viene pagato con la poppeggiante Look Out for Me e The Man You Make Me, un lento dall’andatura nostalgica. Silence Is Louder è un rock patinato con la chitarra che nella seconda parte del brano inizia a prendere spazio regalando in un bel assolo. Si varia leggermente con Church of the Open Mind, dove i Double Vision mettono un po’ da parte i Foreigner per guardare agli Europe più recenti.
Sulla composita Once Before torna a riaffacciarsi il sassofono che, sul finale del pezzo, assume un ruolo da protagonista, mentre sulla ballata A Stranger’s Face si fa ricorso anche a un violino. Chiudono il disco This Day and Age, scandita dal ritmo preciso della batteria di Duboys, ed il rock/pop di Love Could Rule.
Un debutto dal forte gusto di antico, come già detto in precedenza. L’influenza dei Foreigner e del rock per le grandi masse degli anni 70 e 80 risuona palese e credibile. I pezzi sono scorrevoli e non annoiano mai, frutto non solo della preparazione dei singoli musicisti, ma anche di una reale passione e coinvolgimento per il tipo di musica proposto.
Probabilmente i Double Vision non riusciranno a conquistare le classifiche come Mick Jones e soci negli anni d’oro, ma possono certamente dare un piacevole assaggio delle sonorità di quell’epoca passata.
https://doublevisiontheband.com
https://www.facebook.com/doublevisiontheband