Recensione: Elements of Persuasion

Di Riccardo Angelini - 15 Aprile 2005 - 0:00
Elements of Persuasion
Band: James Labrie
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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60

Tempo di side-project in casa Dream Theater. Dopo il recente esordio da solista di John Petrucci, ora tocca a James Labrie aggiungere un nuovo tassello, il terzo, alla sua personale produzione discografica, finora molto positiva. Per questo Elements of Persuasion il bravo singer canadese conferma la line-up che lo aveva accompagnato nei due precedenti album, con la sola novità rappresentata dall’innesto del talentuoso chitarrista italiano Marco Sfogli, autore peraltro di una prova assai convincente.
Forte di tali premesse, il disco si fa carico di aspettative piuttosto alte, sebbene ancora aleggi minaccioso lo spettro del controverso Train of Thought, che più d’una perplessità aveva lasciato ai numerosi fan della band americana, con parte della responsabilità attribuita alla prova dello stesso Labrie. Riscatto personale e capolavoro o clamoroso flop? Né l’una né l’altra, sembra la risposta più corretta.

Indubbiamente il cantato di Labrie mostra evidenti segni di ripresa. Il singer canadese sfodera sicurezza e un repertorio ampio, insieme a un’evidente voglia di cercare nuove soluzioni. Ne consegue un netto cambiamento di sound rispetto ai precedenti lavori, meno prog di quanto fosse lecito attendersi, ma con frequenti strizzatine d’occhio proprio all’ultima produzione della band madre; in particolare a colpire l’orecchio sono le influenze thrash nel suono delle chitarre, di una durezza a tratti sorprendente. Purtroppo la virata stilistica non ha esiti del tutto positivi, e già nell’opener Crucify appare evidente come i toni forzatamente aggressivi delle linee vocali siano poco adeguati al timbro del cantante dei Dream Theater, molto più convincente invece nelle parti melodiche. Un buon ritornello salva tuttavia una canzone che, senza far gridare al miracolo, presenta qualche spunto interessante.
Con la successiva Alone tuttavia emergono i veri problemi, e in particolare il primo dei due più grossi difetti dell’album: l’uso, spesso inopportuno e forzato, dell’elettronica. Nel tentativo forse di dare un taglio più moderno ai brani, infatti, ecco imperversare qua e là campionamenti pseudo-futuristici e beats elettronici presi a prestito da generi musicali forse più popolari ma qui decisamente fuori luogo, che non solo falliscono nell’intento di accrescere il valore del brano ma, anzi, finiscono per minarne concretamente la buona riuscita.
Un sguardo alla tracklist permette invece di intuire dove debba essere cercato il secondo rilevante difetto. Tra dodici tracce della durata media di cinque-sei minuti è logico aspettarsi qualche filler, qualche calo di tono, tuttavia alla fine dei giochi i brani mediocri finiscono per contarsi in numero più elevato del lecito. Song scialbe e anonime come Undecided o Oblivius aggiungono poco o nulla al peso artistico del prodotto; mentre episodi dal buon potenziale come l’accattivante Invisible, inquinata da inutili filtri e dai soliti innesti elettronici, e l’intima Lost, supportata da un sezione ritmica precisa ma non adeguata al mood del brano, nascondono idee di indubbia qualità che tuttavia non riescono a esprimersi appieno.
Fortunatamente si trovano anche episodi più convincenti e il trittico formato da Smashed (ballad atipica ma piacevole), Pretender (forse la più prog-oriented dell’album) e Slightly Out of Reach (pacata e di facile presa) risolleva le sorti dell’album, in virtù anche di una bella prova di Labrie, di nuovo a suo agio su tonalità melodiche. L’ultimo acuto si trova proprio in dodicesima posizione, e risponde al nome di Drained. Qui finalmente un punto di equilibrio tra modernità e tradizione può dirsi raggiunto: la costruzione si rivela curata in ogni parte e piacevolmente complessa, così da lasciare una sensazione gradevole nelle orecchie dell’ascoltatore e invogliare al riascolto.

Dovendo tirare le somme, non si può negare che Elements of Persuasion sia un album ottimamente prodotto e suonato altrettanto bene, ma non particolarmente ispirato. Senza dubbio da una personalità come James Labrie, nonostante la buona prova personale, c’era da aspettarsi qualcosa di più in fase di songwriting. Probabilmente avrebbe giovato concentrarsi su un numero minore di brani, e curarne in modo più attento l’articolazione nel suo complesso, senza forzare troppo la mano in campi scarsamente compatibili con la voce del cantante canadese e soprattutto dando un senso più compiuto alla ricerca del sound moderno.
Consigliato comunque ai fan del bravo singer dei Dream Theater e a quanti hanno apprezzato nonostante tutto il tanto criticato Train of Thought. Per gli altri il suggerimento è di guardare altrove: in ambito prog questo 2005 ha offerto uscite di maggior spessore.

Tracklist:
1. Crucify
2. Alone
3. Freak
4. Invisible
5. Lost
6. Undecided
7. Smashed
8. Pretender
9. Slightly out of Reach
10. Oblivious
11. In too Deep
12. Drained

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