Recensione: Enemy of God

Di Matteo Lavazza - 13 Gennaio 2005 - 0:00
Enemy of God
Band: Kreator
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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80

Ritornano sulle scene i Kreator, da sempre la band meno grezza della triade Thrash tedesca (che oltre a loro comprende Sodom e Destruction), dopo il buonissimo “Violent Revolution”, album che li aveva restituiti alla scena Thrash dopo qualche anno, e qualche album, piuttosto sperimentale e non molto in linea con il loro passato.
Mi sento di dire fin da subito che questo “Enemy of God”è a mio parere l’album della loro piena riconciliazione col passato, nonché la perfetta prosecuzione del discorso intrapreso dal gruppo col disco precedente, e se qualcuno avesse dei dubbi basterà l’ascolto della Title Track posta in apertura per fugarli. La canzone è una mazzata pazzesca, le cui ritmiche mi hanno riportato più di una volta ai tempi, gloriosi, di “Extreme Aggression” o, ancora di più, di “Coma of Souls”, il tutto miscelato alla perfezione alle melodie, sempre piuttosto violente, che avevano in qualche modo caratterizzato “Violent Revolution”, ed il risultato è davvero spettacolare.
Non c’è nemmeno il tempo di respirare e si viene letteralmente investiti dall’impato terrificante di “Impossible Brutality”, il cui titolo già descrive la musica proposta, cioè un Thrash davvero monolitico e possente, di quelli che hai concerti fanno sì che la gente si lanci in pogate al limite dell’umano.
Il lavoro della band a livello ritmico è davvero impressionante, soprattutto Ventor dimostra ancora una volta che i clamorosi excursus fuori tempo dei primissimi album del gruppo sono ormai solo un ricordo, infatti su “Suicide Terrorist” è probabilmente lui la star principale, grazie a delle parti di batteria davvero molto ben studiate, il tutto al servizio dell’ennesima bordata del disco.
Sulla stessa falsariga delle precedenti si muovono anche “World Anarchy”, un vero e proprio assalto sonoro sparato ad alte velocità, “Murder Fantasies”, un brano che ha stampato a fuoco il marchio Kreator tra le note, nonostante il sempre ottimo Mille Petrozza vada, in certi momenti, a cercare soluzioni vocali piuttosto strane, più “cantate” rispetto al solito, “When Death Takes it’s Dominion”, forse la canzone che più si avvicina a quanto ascoltato sul predecessore di questo disco, una canzone che, nonostante la grinta e la potenza non vengano mai a mancare, punta più che altro sull’aspetto melodico dei Kreator, e prendete la parola “melodico” con le pinze ovviamente, “One Evil Comes – A Million Follows”, che prende decisamente la scia della canzone precedente, con però l’arma in più di un ritornello davvero splendido,  “Under a Total Blackned Sky”, altra bordata Thrash, questa volta giocata su dei mid tempo davvero spaccacollo, l’unica cosa che non mi ha convinto in pieno è il ritornello, che a mi è sembrato piuttosto scialbo e senza mordente.
Un discorso a parte lo meritano a mio parere due canzoni, cioè “Voices of the Dead”, in cui la band è riuscita a miscelare alla grande linee vocali che riportano alla mente il periodo “Endorama”, con basi Thrash in piena regola, regalando alla canzone non solo potenza, ma anche atmosfera, davvero un brano originale e trascinante, e la conclusiva “The Ancient Plague”, altro brano che rilegge in maniera davvero originale lo stile dei Kreator, quasi a voler dimostrare che avendo le idee e le basi giuste è possibile evolversi senza per questo snaturare il proprio sound.
Purtroppo però non mancano a mio parere due passi falsi, rappresentati da “Dystopia” e “Dying Race Apocalipse”, canzoni in cui il gruppo ha cercato ancora delle soluzioni “alternative”, o comunque che si distaccassero in qualche modo dal solito approccio musicale del gruppo, ma che purtroppo, a mio parere, risultano piuttosto insignificanti, facendo così calare la tensione all’interno del disco.
I suoni non mi sono particolarmente piaciuti, la mano di Andy Sneap (produttore già di gruppi come i Machine Head per esempio) si sente fin troppo, e il suono risulta troppo freddo e soprattutto troppo poco potente, il Thrash dei Kreator merita sicuramente un maggior impatto, infatti credo che il vero valore delle canzoni di “Enemy of God”, già buono di suo, si avrà solo dal vivo.
Tecnicamente c’è poco da dire su una band di questa esperienza, forse l’unica nota leggermente negativa sta proprio nella voce di Mille, potente e particolare come sempre, ma sicuramente senza l’impatto di qualche anno fa, ma dopotutto gli anni passano anche per lui, quindi un leggero calo credo si possa tranquillamente perdonare.
I Kreator con questo disco hanno dimostrato di essere tornati la solita garanzia in ambito Thrash, infatti nonostante la loro ricerca di nuove soluzioni non si sia fermata, hanno finalmente capito che nessuna evoluzione può prescindere dalle basi storiche e musicali da cui si arriva, peccato solo per qualche caduta di tono, ma già così “Enemy of God” è un gran bel disco.

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