Recensione: Epigon

Di Tiziano Marasco - 20 Gennaio 2022 - 7:30
Epigon
Band: Wilderun
Genere: Progressive 
Anno: 2022
Nazione:
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89

C’è gente che li definisce “la miglior band degli anni 2010”. C’è chi li presenta come eredi degli Opeth pre-2011. Insomma, dei Wilderun si parla tanto e, in linea di massima, si parla parecchio bene. La recensione di “Epigon” quarta fatica discografica del combo statunitense, però, viene qui appioppata a uno che in linea di massima non li conosce. Al massimo si era sentito un estratto dal precedente “Veil of imagination” ma non è che più di tanto i suoi padiglioni auricolari avessero sussultato.

Mal gliene incolga, direte voi. Ma forse, semplicemente, non era periodo, e un incontro che in altre circostanze avrebbe potuto condurre chissà dove si era spento in un nulla di fatto. Capita. Alle volte le orecchie sono indisposte. Poi c’è anche da dire che alcune band sono solite evolversi e cambiar d’abito di album in album e questo è il caso della formazione del New Jersey.

Beh, è andata com’è andata, amen! Immergiamoci in questo “Epigon” senza troppi preconcetti, né in positivo né in negativo. Fatto che potrebbe essere un valore aggiunto, in effetti: da quel che si legge in giro pare proprio che quest’album e questa band abbiano puntati addosso gli occhi di almeno quattro quinti della galassia metallica. Con aspettative ugualmente galattiche.

Bon. Tutto ‘sto preambolone per dirvi che, già quando si è raggiunta la non particolarmente insidiosa boa del mezzo minuto di primo ascolto, l’idea è quella di trovarsi innanzi a qualcosa di davvero straordinario e fuor dalle righe.

A colpire, nell’acustica opener “Exhaler”, più delle coordinate sonore è l’atmosfera che viene creata. Potrebbe essere un normale prog acustico forse un po’ canterburiano, ma no, la sensazione è quella di essere capitati in un disco di rock alternativo, ma alternativo nel vero senso della parola. Vengono in mente, su tutti, i Radiohead di “OK Computer“. Peraltro tale senso diffuso di Radioheadismo viene confermato in coda al disco dalla stessa band, che inserisce come bonus track proprio uno dei cavalli di battaglia del quintetto britannico. Trattasi di “Everything in its right Place”, da “Kid A” (successore di “OK Computer” e probabilmente uno dei dischi più visionari degli anni ’90).

Buona la prima impressione per tutto il disco?

Ma in effetti sì.

Nell’ascoltare “Epigon”, a parer nostro, gli Opeth non dovrebbero venire in mente. I nomi più frequenti che vi passeranno per la testa, oltre ai già nominati Yorke & co., sono certi Porcupine Tree , certi Motorpsycho (quando facevano davvero bella musica), ma anche gli Haken di “Affinity“. Ancora, dominano le ben note atmosfere cinematografiche che si sono andate facendo più presenti nel corso degli anni (perché se un disco è buono e si deve fare un lavoro con cognizione di causa, ogni tanto si devono recuperare i vecchi lavori). Tutte queste sensazioni sono magnificate dalla traccia numero due, ovvero la straordinaria “Woolgatherer”, più che una corsa selvaggia, un autentico viaggio onirico. Ed è tutto “Epigon” un viaggio onirico in territori un po’ tra le nuvole (come sottolineato dall’artwork) e ogni tanto oscuramente misteriosi.

Il disco non conosce punti deboli ed affascina in ogni secondo. Abbastanza evidente, rispetto ai capitoli precedenti della band americana, sembra essere la riduzione della componente death. Troverete ancora episodi carichi di elettricità, soprattutto nella suite a trance “Distraction”. Di growl invece ne troverete piuttosto poco e anche quello spesso e volentieri usato come un backing.

Elemento negativo? Non particolarmente e forse proprio per niente.

A qualcuno può venire in mente che i Wilderun si siano ammosciati. La realtà però è che così facendo si sono liberati di parecchi dei loro elementi derivativi e più facilmente accostabili a certi mostri sacri del black.

Insomma, “Epigon” a dispetto del titolo, tutto sembra fuorché un epigono di qualcos’altro. È, invece, un album che ci offre della roba che mancava da tempo. Da un lato un metal che sia genuinamente “altro” ovvero ricco sì di riferimenti, ma talmente mischiati da risultare in qualcosa di davvero nuovo. Un album per cui vale quanto dettomi da un ex collega quando per la prima volta sentì i Sólstafir, ovvero che “non solo non è metal estremo, ma quasi non è metal”. “Epigon” sicuramente non è metal classico, ma metal, comunque, è. Per contro, è un disco che, oltre ad essere metal, è anche prog. Ma anche nel senso di essere creato con spirito prog, vale a dire con ricerca ad una progressione, un’evoluzione del suono.

È difficile dare una spiegazione di quanto si prova durante l’ascolto di questo disco. Non si tratta solo della sbalorditiva qualità della musica. Non si tratta solo del fatto che ci troviamo in mano qualcosa di davvero singolare. Fin dai primissimi secodni l’idea è che questo album abbia “il quid” quel qualcosa che fa la differenza tra un ottimo disco e un disco leggendario. E per chiudere il cerchio, dopo aver ascoltato “Veil of imagination” la sensazione è che quello sia un ottimo disco. Vale a dire che la crescita della band nel corso degli anni sembra essere continua e in una direzione precisa. Insomma, i Wilderun potrebbero stupirci ancora in futuro.

Qui ci sono gli estremi per aver trovato l’album del 2022 prima ancora che finisca gennaio.

Band del decennio?

Da quel che si sente, sembra possibile. Ma del decennio che sta iniziando!

Era qualche anno che non mi emozionavo così.

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