Recensione: Epo

Di Tiziano Marasco - 4 Ottobre 2013 - 7:59
Epo
Band: Gardenjia
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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78

Si dice un gran bene di questi Gardenjia, quartetto pugliese giunto in maggio al traguardo non solo del primo full-length, EPO, ma del primo contratto con una label, la piccola ma accogliente Memorial records. I Gardenjia che sono una giovane band pugliese, attiva dal 2011, anzi, molto attiva, dato che in due anni ha dato la luce ad un EP, Ievads, e lo scorso dicembre ha autoprodotto Epo. Già le due autoproduzioni avevano destato impressioni più che positive, anche fuori dalla madrepatria. Legittimo e dovuto perciò l’interesse della Memorial, che si è presa sulle spalle il compito di ripubblicare Epo lo scorso maggio, dandogli una migliore veste sonora ed arricchendolo di due nuovi brani. C’è da dire che nel frattempo il terzetto si era impreziosito grazie all’arrivo del sassofonista Ezio Contino, il quale ciò nonostante su questa release si sente in modo sporadico (vale a dire nei pezzi nuovi), ma avrà sicuramente modo di farsi sentire in futuro. Anche perché le premesse per far bene ci sono tutte.

Epo infatti è un disco decisamente ostico da assimilare, eppure profondamente affascinante, quanto difficile da inquadrare. Da più parti si sono richiamate le influenze dei Meshuggah e qualcuno ha proposto il genere gothic djent, per quanto i nostri siano dediti a tempi decisamente lenti che col djent hanno ben poco a che fare. Indiscutibilmente sono distinguibili una vena death ed una prog, che si fondono in un sound molto originale ed in grado di creare grandi atmosfere oscure grazie all’utilizzo massiccio di tastiere e sintetizzatori. Ne vengono fuori composizioni decisamente omogenee l’una all’altra, eppure estremamente strutturate, come il minutaggio lascia largamente intendere. Troveremo così ora tappeti di tastiere acquitrinose a cui si sovrappongono sezioni ritmiche molto più massicce, ora delicati arpeggi di chitarra interrotti da bassi e batterie a martello pneumatico, ancora una volta interrotti spesso e volentieri da nuove oasi di pace. La struttura e le idee potrebbero rimandare a Devin Townsend, soprattutto nel modo di accostare melodia e violenza. Tuttavia i Gardenja sono capaci di un livore ferino che la personcina di Vancouver ignorava perfino ai tempi degli Strapping Young Lad, per non parlare del fatto che i nostri non sono per nulla propensi ad indulgere in ritornelli di facile presa. Oltre a ciò, una menzione va fatta alla prova del cantante, Raffaele Galasso, capace di un growl animalesco e primordiale, ma anche di un cantato in clean malinconico e prossimo al lamento, un clean che si rifà proprio al cantato metal di scuola italica, figlio del nostro prog settantiano come di certo heavy tra gli ottanta e i novanta, ed inquadra la band come italiana al cento per cento. Insomma ce n’è per tutti, e le buone impressioni vengono confermate col procedere degli ascolti.

Bisogna dire, prima ancora di tirare le somme, che questo 2013 è stato davvero un ottimo anno per il metal italiano d’avanguardia. Oltre ai Gardenjia infatti, il traguardo del primo full-length è stato superato dai Progenie Terrestre Pura, altro interessantissimo gruppo nostrano, come il nome lascia capire. Ecco, secondo il modesto parere di chi scrive, ma non solo, il futuro del nostro metal può rispecchiarsi benissimo in queste due oscure band. Band che, con mezzi forse più esigui dei maestri scandinavi o statunitensi provano a dire la loro, a fare qualcosa di nuovo. Qualcosa che abbia un respiro internazionale e pure rimanga fedele al luogo da cui viene, seguendo la tradizione, lunghissima, dei Novembre, degli Stormlord, degli Ephel Duath o dei Dark Lunacy. E naturalmente la speranza è quella di sentire a breve distanza di tempo nuovi capitoli discografici di alto livello come questo Epo, che con un po’ di fortuna potrà diventare un piccolo classico.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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Anno: 2013
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