Recensione: Eternal

Partorito dai Tundra il secondo lavoro in studio: “Eternal“. Il quale segue il debut-album, “Wastelands”, uscito nel 2020, nonché una nutrita schiera di singoli.
Il genere? Deathcore, anche se spesso lascia lo spazio a rigurgiti metalcore, mischiandoli con inserimenti di elettronica e con inni religiosi (“You Are“), dato che i Nostri si professano una formazione cristiana. Il cristian metal (o white metal), in effetti, è esistito davvero, sulla spinta degli Stryper avvenuta alla fine degli anni ottanta, manifestandosi come entità trasversale accomunante più generi metal, compreso il black metal.
C’è da dire che “Eternal“, anche per quanto sopra citato, è un disco le cui forme mutano continuamente, fra brani che nulla c’entrano con il contesto generale, come la strana, si potrebbe anche dire allucinogena, opener-track “Alone“, in cui Morgan Monroe, cantante nonché chitarrista, delinea delle linee vocali totalmente dissonanti a mò di cantilena ipnotica.
Poi però, si scatena la furia degli elementi con la violentissima “Welcome to Hell“, mostruoso attacco sonoro capitanato dall’ugola aspra, arsa e riarsa dello stesso Morgan Monroe, coadiuvato dal fratello Steven, chitarrista pure lui e autore dei passaggi in growling. L’attacco del riffing è devastante, alimentato dagli accordi super-ribassati delle sei corde, le quali innalzano un muro di suono granitico, gigantesco. L’innesto dell’elettronica si fa sentire, così come il drumming, centrato sulla spinta devastante dei blast-beats.
Il sound generato dal combo statunitense possiede un’energia terremotante, quasi da bomba termonucleare. Fatti salvi i vuoti di decibel del tipo quello della ridetta “Alone“, contribuiscono alla bisogna i repentini rallentamenti calibrati con stop’n’go da spaccare la schiena, in cui potenza è comunque devastante. E ove sanguinolente harsh vocals e profondissimi growling s’intersecano al fine di demolire le difese timpaniche (“The Witch”). Certo, i breakdown non sono una novità, tuttavia non possono mancare in un LP come questo, così variegato da lasciare a volte costernati i fan del metal estremo di fronte alle invenzioni dei quattro compagni di avventura, peraltro dotati di tecnica esecutiva sopraffina.
In tal senso, l’idea di affrontare il cantato di “Smoke and Mirrors” in clean, sempre e comunque dissonante, non è così male, tenuto conto della presenza di corposi arricchimenti individuabili in avvolgenti orchestrazioni. Con “Hostage” viene mostrato il lato più violento del gruppo, musicalmente parlando, seppure interrotto da inserti ambient e tratti in cui ritorna l’idea di partenza, e cioè spezzare i brani in tanti segmenti dal taglio stilistico diverso.
Accanto a questo modus operandi compositivo, che può creare sgomento o confusione in chi ascolta per via della sua continua mutazione, è presente – seppure raramente – un approccio un po’ più semplice e lineare. Volto a lasciare intravedere solamente il lato più pestifero e ferale (“Undead“, “Revelation“) di una foggia musicale che non si riesce, e mai si potrà, definire in maniera univoca. Rilevato che, oltre al resto, non mancano neppure apporti di industrial metal (“Insane“). Con che il tutto potrebbe essere interpretato come un pregio o un difetto.
Una foggia che esprime un mood tetro, freddo, a tratti oscuro, tenebroso. Reso davvero bene per immergersi in un universo parallelo a quello noto, in cui ruotano gli elementi costitutivi del platter, le cui orbite si sovrappongono alle altre. Il tutto senza caos ma con ordine, il che sembrerebbe errato, preso atto dell’estrema pluralità delle singole canzoni, la quale agisce sia all’interno delle stese, sia nei confronti dell’opera nel suo complesso.
“Eternal” è un full-length estremamente complesso per via di una composizione caleidoscopica, mai ferma su se stessa ma in perenne movimento all’interno di un’area in cui vivono numerosi dettami stilistici, a volte coerenti con il resto, a volte a sé stanti. L’assenza totale della melodia rende ancora più difficile la comprensione della bravura dei Tundra, capaci di dipingere, con il pennello intinto nel nero, i tratti caratteristici di uno stile davvero unico nel suo/suoi genere/generi. Forse troppo, unico.
Daniele “dani66” D’Adamo