Recensione: Eternal Silence

Di Marco Tripodi - 25 Ottobre 2016 - 22:41
Eternal Silence
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2015
Nazione:
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70

Nati come Paralysis nel ‘92, divenuti poi Phlebotomy fino al ‘95, ed infine tramutatisi da death metallers a death/doomsters assai recettivi ad influenze e divagazioni eterogenee al filone di battesimo, gli ellenici On Thorns I Lay avevano fatto perdere le proprie tracce nel 2003 allorquando, dopo l’uscita di “Egocentric“ – sesto album in carriera – sembravano aver appeso le chitarre al chiodo. Per fortuna non è stato così, il proposito non è stato mantenuto, poiché Sleaszy Rider oggi licenzia il settimo capitolo della loro travagliata discografia. Già travagliata, visto che i responsi sono sempre stati piuttosto parchi, la formazione ha subito diversi cambiamenti nell’arco degli anni e la vitalità della band è stata testimoniata anche da una certa irrequietezza di fondo nel sound, costantemente in movimento ed evoluzione, al punto da scontentare i fans della prima ora, non disposti a seguire la band su lidi troppo distanti dall’impronta death degli esordi.

Il percorso di crescita seguito dagli On Thorns I Lay ricorda un po’ quello di band come Anathema, Katatonia, Paradise Lost, nonostante il monicker (che deriverebbe addirittura da Shakespeare, un’intuizione di Efthimis Karadimas dei Nightfall) evochi piuttosto svenevoli manchevolezze (plotone romantico guidato dai My Dying Bride). Già “Orama” nel lontano ’97 lasciava presagire il gran talento, anche visionario, che questo gruppo deteneva, anche se poi i nostri hanno soffocato quasi del tutto il loro impeto death per spostarsi su atmosfere maggiormente gotiche ed alternative, di stampo malinconico, intimista, riflessivo e pure un po’ depressivo. Accantonato il dilemma riguardante come etichettare il genere proposto dai nostri (più una questione di sterile nomenclatura che di sostanza emotiva), fa piacere vedere che i 3/5 di “Egocentric” hanno ripreso le (dolci) ostilità, includendo in formazione un tastierista (che mancava in pianta stabile da “Crystal Tears” del ’99) anziché una seconda chitarra, e stipendiando l’ennesima nuova female vocalist, la terza, anzi la quarta, considerando che Maxi Nil dei Vision Of Atlantis che ha registrato in studio è già stata sostituita da Anna.

Subito dopo “Egocentric” la band aveva già le carte in regola per la pubblicazione del successivo “Precious Silence”, ma la release per motivi a noi ignoti non si è mai concretizzata. Recuperato parzialmente quel materiale e arricchitolo con nuovi input, gli On Thorns I Lay approdano a “Eternal Silence”, nove tracce di cui ben quattro strumentali, a dimostrazione di quanto certe fotografie e descrizioni esclusivamente sonore interessino loro forse più che dei testi banalmente didascalici. L’album è dunque coerentemente in linea con lo stop che aveva salutato la band nel 2003. “Eternal Silence” prosegue la scia di una maggiore musicalità e forma canzone rock-friendly da parte degli ateniesi, nonostante vadano messe a verbali ampie porzioni strumentali di stampo “poetico”, ricche di nostalgia ed effetti cromatici color seppia. La presenza di una voce femminile riallaccia il discorso con “Angeldust” e indubbiamente la band ne beneficia, poiché fisiologicamente predisposta ad ospitare tonalità muliebri, sebbene poste in contrasto al cantato maschile (talvolta pure in growl), alla maniera dei Theatre Of Tragedy. L’impatto degli On Thorns I Lay è all’insegna del minimalismo e della discrezione, il loro sound incornicia giornate autunnali durante le quali una pioggia finissima ed incessante tenta maldestramente di vivacizzare cieli plumbei e brumosi. C’è un sentimento di lontananza, di mancanza e non appartenenza nelle sofferenze decantate degli On Thorns I Lay, che in un sol colpo riescono a farci ricordare quale era la ragione sociale della loro musica.

“Eternal Silence” non è un album potente, non dispensa hits e tormentoni, forse ad un ascolto sommario non pare nemmeno questo granché, perché parla una lingua carsica e sottile, vive di una fisicità esile, flessuosa, elegante; ma, esattamente come quando si rimane esposti a lungo al freddo umido di una grigia giornata di novembre, la sensazione di malessere che penetra nelle ossa, in profondità, si rivela molto difficile da combattere e stemperare. Certamente i passati episodi discografici degli On Thorns I Lay conservano una marcia in più, ma il ritorno in attività è fatto con consapevolezza, lucidità e secondo la politica dei piccoli passi, come è sempre stato per questi ragazzi. Vedere tornare a sbocciare un fiore delicato e profumato a Primavera sarà la soddisfazione più grande per chi li ha seguiti fin dalla metà degli anni ’90.

Marco Tripodi

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