Recensione: Ethereal Dominance

“Ethereal Dominance” è il secondo lavoro per i francesi Mortal Scepter, quartetto di Dunkirk attivo da una dozzina d’anni che propone un feroce thrash metal screziato da una furia e una densità più vicina a certo death. Un metallo irruento e corposo ma tutt’altro che scontato, che non vuole inventare nulla quanto piuttosto sviluppare ciò che di buono s’è sentito nel debutto “Where Light Suffocates”, offrendo una prova concentrata (la sua durata supera di poco i quaranta minuti) mantenendo immutati foga e violenza sonora. Le chitarre sono spesse, e non esitano a venare le loro raffiche con feroci accelerazioni a rallentamenti più carichi di groove o di solenne pesantezza, dettando il tono delle composizioni sostenute da una batteria insistente e variegata il giusto, che dispensa mazzate in varie modalità. Il basso tende a sparire dai radar, di tanto in tanto, preferendo un lavoro sotto traccia per fungere da elemento fluidificante, ma quando fa sentire la sua presenza il contributo all’economia del gruppo è subito evidente. A chiudere il cerchio una voce ruvida e ficcante, che con la sua verve gutturale richiama Mille Petrozza e Tom Araya: c’è tanto dell’Araya di “Hell Awaits” nella cadenza e nell’impostazione vocale di Valentin, i cui toni ringhianti sembrano uno speculare roco dello screaming del cileno. L’amalgama di questi elementi produce un lavoro aggressivo e corpacciuto, molto debitore della scena della Bay Area, la cui crudezza viene sporadicamente squarciata da brevi lampi più solenni e da melodie sinistre che dipingono scenari fantascientifici e soffocanti di società distopiche, intelligenze aliene e massacri intergalattici.
Si parte propositivi con la title track. “Ethereal Dominance” si apre su un riff dai connotati vagamente ostili che si trasforma, dopo un minuto e mezzo, in una raffica violenta screziata, di tanto in tanto, da incursioni più imperiose. Il pezzo prosegue su ritmi veloci, aggressivi, rallentando vagamente solo nella seconda metà, più melodica, e tornando ai riff imperiosi solo alla fine del pezzo. “Redshifting to Death” profuma lontano un miglio dei primi lavori di Hanneman e soci, col suo fare insistente e magmatico e le chitarre tese. Il cambio di passo centrale, ancora molto slayeriano, sfocia in una breve sfuriata che invece riecheggia una certa frenesia Mustaine-iana, che in breve torna all’assalto con i riff maligni che ci accompagnano a “Blindsight”. Anche qui i nostri partono subito all’attacco con ritmiche insistenti e riff nervosi, dal piglio isterico, confezionando un pezzo galoppante e ritmatissimo che solo a metà cede posto ad un intermezzo più dilatato, che in un attimo però torna sui suoi passi caricando di nuovo col coltello tra i denti. “Omegacide Deadrays” gioca con un’apertura minacciosa, cui fa seguito una nuova serie di raffiche tese e vorticanti. Gli innesti centrali, dal piglio quasi solenne, inglobano il breve assolo prima di tornare a martellare senza pietà. “Submit to the Crave” alza ancor di più il tasso d’isterismo sonoro, tenendo i ritmi alti e concedendo poche pause per riprendere fiato tra una frustata e l’altra. Il passaggio ad un piglio più dimesso insinua nella ricetta dei nostri un fare più cupo, solenne, a cui si affiancano elementi ora più ritmati ed ora quasi narrativi, che rimodellano il pezzo fino all’ordine insistito in chiusura. “Reverse Paradigm” torna all’assalto sonoro, tenendo i giri alti e i ritmi insistenti e aggiungendo una certa dose di minaccia di tanto in tanto. Anche qui la parte centrale concede un certo riposo, abbassando i ritmi per un fare più meditato, salvo poi tornare all’aggressione sonora in tempo per il finale. I nostri non danno segni di cedimento, e “Sense Ablation” continua a dispensare randellate, seppur – stavolta – in modo meno istintivo e più sistematico. Anche i cambi di ritmo del pezzo si dimostrano utili a dargli una scansione sonica più fluida, quasi omogenea, in vista dell’impennata furibonda con cui il pezzo si chiude e sfuma nella suite conclusiva. “Into the Wolves Den” si apre su una melodia inquieta che di colpo si fa maestosa, cupa ma al tempo stesso malinconica: il moto ondoso che si sviluppa è sofferto, quasi languido, e si carica di un ritmo pulsante prima di partire a spron battuto. I segmenti della traccia si alternano e si accavallano senza soluzione di continuità, passando da riff tesi a fraseggi saltellanti e inframmezzando il tutto con rapide sfuriate, mescolando in modo estroso elementi thrash e death metal. Ciò toglie all’ascoltatore riferimenti, mantenendo alto il livello di interesse e permettendo al pezzo di scorrere senza troppi momenti morti fino all’arpeggio finale, che dipinge nuovamente un’atmosfera dimessa ma vagamente inquieta.
“Ethereal Dominance” è un buon lavoro, denso ed irruento ma che non rinuncia a dipingere scenari avvincenti con le sue trame sonore. Come scrivevo in apertura, i Mortal Scepter non inventano e non vogliono inventare nulla: è vero, durante l’ascolto si percepisce un certo schema ricorrente in fase di composizione, ma ciò nonostante la loro veemenza agguerrita ed abrasiva gli consente di stagliarsi al di sopra di una buona fetta di concorrenza.