Recensione: Explode

Di Simo Narancia - 20 Ottobre 2004 - 0:00
Explode
Band: Black Rose
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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64

Devo ammettere che questo secondo disco degli svedesi Black Rose mi ha lasciato un pochino spiazzato. I nostri sono dediti ad un heavy – hard rock di chiara derivazione neoclassica, filone di per sé già molto sfruttato e senza particolari innovazioni da almeno una quindicina d’anni a questa parte, ma a fronte di una proposta musicale piuttosto canonica e conosciuta non mi è stato facile inquadrare il disco fin da subito. Dato che sono un simpatizzante del genere mi aspettavo un disco piacevole fin da subito, senza troppe pretese magari ma pur sempre piacevole. Invece non è stato proprio così. Al primo impatto le canzoni una dopo l’altra mi sono sembrate un po’ piatte e senza troppo mordente (con le dovute eccezioni ovviamente), tanto che tra i primi due ascolti ed il terzo ho dovuto (o voluto?) far passare più di qualche giorno di pausa (complici alcuni cd clamorosi di recente pubblicazione che nel frattempo hanno preso il pieno controllo del mio stereo). Tuttavia ascolto dopo ascolto mi sono dovuto in parte ricredere. Questi 5 ragazzi (tutti più o meno giovani a giudicare dalle facce) forse non saranno dei geni assoluti, ma almeno sono capaci di scrivere canzoni che, nella semplicità della loro struttura (spesso: strofa-ritornello-strofa-ritornello-assolo), si lasciano ascoltare, senza indugiare troppo nella “citazione” nuda e cruda.

La partenza, affidata alla title track, è un po’ anonima. Explode con il suo incedere non troppo veloce e il ritornello non troppo convincente, si riscatta solo nella fase centrale grazie ad un buon intermezzo strumentale ed ad un assolo di chiara ispirazione classica (anche se non è ripreso in modo pedissequo è il solito “inverno” del solito Vivaldi a fare capolino e, sebbene sia forse un po’ inflazionato, ho sempre piacere nel riascoltarlo in chiave metal). Ma non è certo con brani del genere che ci si può fare strada nel sempre più affollato panorama metal. Le cose iniziano a migliorare già dal secondo brano, On your knees, che seppur non sia un fulmine di guerra si fa apprezzare grazie ad una maggiore vivacità e spigliatezza, richiamando in qualche modo i funambolici Majestic nell’introduzione e nella prima parte del lungo assolo (dove ad essere citato stavolta è Mozart e come al solito per me è un vero piacere). Così dopo qualche buono spunto in Into the night e Thunder and lightning (brano riflessivo vicino ai Thunderstone), è la parte centrale a riscattare pienamente le sorti del disco. On the run affonda le sue radici nel hard ‘n’ heavy più schietto e diretto, convincendo nella sua semplicità. Deceiver e soprattutto la strumentale Firefly rimarcano il fatto che i Black Rose sono più a loro agio quando premono sull’acceleratore e pur rimanendo fortemente legati ai dettami di “Malmsteen e i suoi derivati” riescono a coinvolgere l’ascoltatore. Paradise is lost invece fa vedere che le buone idee ci sono anche quando sono le tastiere a prendere le redini del gioco, ma allo stesso tempo dimostra che dovrebbero essere meglio sfruttate: il goticheggiante break centrale è tra le cose meglio riuscite del disco ma è inserito in un contesto poco fantasioso e troppo ancorato ai dettami del heavy neoclassico. Nel finale si rallenta e la conclusiva We can make it è tutt’altro che disprezzabile, forte di buone melodie, un bel riffing e un azzeccato accompagnamento delle tastiere.

Il mixaggio e la resa sonora sono puliti, ma non freddi come spesso capita nelle recenti produzioni scandinave anzi, quasi si ha la sensazione di avere a che fare con un auto-prodotto (tuttavia se lo fosse davvero sarebbe di alto livello). A convincermi di meno invece è la scelta di mettere un po’ in secondo piano le tastiere in alcuni brani (che per il genere proposto sono importanti tanto quanto le chitarre), la resa dei piatti (troppo sibilanti) e il cantante: non è malvagio ma qualche sbavatura e un’interpretazione non sempre all’altezza ne oscurano la prova personale. In conclusione un disco che potrebbe piacere a due categorie di persone: ai “die hard fans” del genere che per un pugno di assolo neoclassici sono disposti ad ascoltare anche i lavori più modesti oppure a chi, non avendo elevate pretese, si gongola nell’ascoltare anche dischi piacevoli ma non imprescindibili. Certo è che se avete già, non dico il fondamentale Rising Force (che comunque dovreste avere), ma il buon Fire & Ice di sua maestà YJ Malmsteen questo disco potrebbe risultare superfluo nella vostra discografia.

Formazione:
Johan Spinord – Vocals
Peter Haga – Drums
Anders Haga – Bass
Magnus Vesterlund – Keyboard
Ola Carlsson – Guitar

Tracklist:
1 Explode / 2 On Your Knees / 3 Into The Night / 4 Thunder And Lightning / 5 On The Run /
6 Paradise Is Lost / 7 Deceiver / 8 Firefly / 9 Love Will Never Die / 10 We Can Make It

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