Recensione: Eye for an eye

Di Stefano Ricetti - 8 Maggio 2018 - 12:30
Eye for an Eye
Band: Pino Scotto
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Pino Scotto è un’anima dannata del rock’n’roll, in senso artistico. Sino alla morte di Lemmy dei Motorhead lo era anche in senso fisico, non facendosi mancare nulla della triade sex, drugs & alcohol. La perdita del vecchio compare di bevute ed eccessi, avvenuta il 28 dicembre del 2015 ha poi fatto il miracolo: folgorato sulla via di Damasco – meno prosaicamente è più probabile che si sia materializzata nei pressi di Corso XXII marzo a Milano – il buon Giuseppe Scotto di Carlo detto Pino alla veneranda età di 65 anni quel giorno decise di dare un taglio netto ai vecchi viziacci. Da quella conversione il novissimo “Eye for an Eye” rappresenta il secondo tassello discografico della sua carriera ed esce due anni dopo “Live for a Dream”, fino a poco fa ultimo vagito ufficiale della Banda Scotto.

Targato Nadir Music, l’album si presenta in versione digipak ed è accompagnato da un libretto di dodici pagine con tutti i testi dei brani inediti (tracce da 1 a 8 con l’aggiunta di “Wise Man Tale”). Insieme con Pino lo stesso gruppo di musicisti degli ultimi periodi: il vecchio pard Steve Angarthal alla chitarra, Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alla batteria. Formazione killer Docg, quindi. Unico special guest per l’occasione il Puma di Lambrate Fabio Treves all’armonica, precisamente su “Crashing Tonight” e “One Way Out”.

Tutto si può dire del rocker napoletano/milanese ma non che abbia seguito l’onda del momento per guadagnare facili consensi. Sin dalla fine dei Vanadium – gruppo che in questi ultimi decenni segnati da reunion più o meno credibili manca fortissimamente all’appello – Scotto ha pensato di mettere a terra tutti i cavalli dei quali disponeva la sua mente vulcanica. Quindi spazio al Blues, alle collaborazioni al di fuori del mondo heavy metal/hard rock e libertà artistica assoluta su tutti i fronti tanto da coverizzare brani di Rascel e Celentano, solo per citarne due. Ovvio che così facendo si sia attirato le ire dei duri e puri dell’hard che peraltro hanno sempre manifestato il loro dissenso nei confronti delle scelte anche azzardate del nostro. Va  però precisato ben bene che Pino l’amore per i cari, vecchi Vanadium l’ha poi dimostrato con i fatti – anche se un po’ meno a parole – incidendo un tributo nel 2003 con i Fire Trails intitolato non a caso “Vanadium Tribute”, piazzando parecchi loro pezzi in “Live for a Dream” del 2016 ma soprattutto non facendo mai mancare qualche antico cavallo di battaglia negli innumerevoli concerti alive.

In quest’ottica, sulla spinta delle dichiarazioni fornite pre uscita dallo stesso interessato riguardo “Eye for an Eye”, definito come “Un tuffo nelle sonorità hard rock anni Settanta/Ottanta più ruvide e graffianti” è normale che si sia creata la giusta attesa (anche) fra i fan della prima ora. Lo spettro benigno dei Deep Purple aleggia più volte fra i solchi del lavoro griffato Nadir: l’opener “Eye for an Eye” è emblematica in questo senso. La mannaia di Angarthal detta legge fra le trame di “The One”, figlia dell’hard scuola seventies. Lo spirito del periodo è catturato altresì nella dinamica “One Against the Other” così come nella successiva “Two Guns”.

Aaaaarrrrrrrrrrggggggghhhhhhhhhh, è poi finalmente la volta di una canzone fottutamente ma davvero fottutamente Vanadium al 110%, che poteva tranquillamente stare su “Born to Fight”, ad esempio, vedasi alla voce “Cage of Mind”, pezzo che permette a Pino di non dover “tirare” oltremisura e donare al piacere auricolare la sua ugola scolpita da Lucky Strike e Giacomo Daniele o Danieli che dir e ber si voglia – facile la traduzione… – negli anni che furono. Quel famoso sogno al Vanadio ricorre anche nella traccia numero otto, “Looking for the Way” anche se un poco meno intenso.

Il tuffo nella musica che non morirà mai ma proprio mai è costituito da “Crashing Tonight” aperta da Treves e poi via di rock’n’roll sino alla fine. Poteva mancare il pezzo strappalacrime in un disco ispirato ai formidabili anni Ottanta? Ecco servita “Angel of Mercy”: niente iperproduzioni, solo Pino Scotto in qualità di mattatore in una traccia evidentemente dedicata a una persona cara. Rispetto, ascolto e silenzio, in questi casi.

Ottimo l’arpeggio rimandante a culture lontane che funge da incipit a “Wise Man Tale”, Fire Trails docet, traccia che poi si sviluppa su di un refrain di quelli giusti, andando a segnare l’highlight di “Eye for an Eye”, per chi scrive; bella oggi come allora. “There’s Only One Way to Rock”, nomen omen, è un ulteriore omaggio alla scuola Rainbow/Purple operata da Pino sulla scorta di quanto già fatto da Sammy Hagar precedentemente. Chiusura affidata alle note di “One Way Out”, uno di quei pezzi che sarebbe piaciuto tantissimo interpretare anche al grande Lem, fra Blues, Fabio Treves e melodie immortali, ossia la base della musica dura che tutti noi amiamo alla follia creata nella fattispecie dagli Allman Brothers.                  

Al termine di più e più passate sorge spontanea la domanda: “Eye for an Eye” è il disco che tutti ci aspettavamo da Pino Scotto e compagnia cantante dopo la fine dei Vanadium?

Ai posteri l’ardua sentenza…               

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti         

 

 

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