Recensione: Failure In The System

Di Stefano Ricetti - 14 Marzo 2020 - 5:00
Failure In The System
Band: Crohm
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Heavy 
Anno:
Nazione:
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75

In quest’epoca di revival forzato e in taluni casi forzoso, ove anche chi era ancora in cielo o meno prosaicamente ma sempre elegantemente nella testa di papà e mamma, parla degli anni Ottanta come di un’epoca d’oro, è un piacere, per chi in quel periodo c’era per davvero, celebrare un ritorno gradito. Quello dei CRΩHM (più semplicemente Crohm), da Aosta. Nati nel 1985 sulla spinta della prima Nwobhm, l’anno successivo debuttano con il pezzo “Quake”. Quella formazione schierava Claudio Zanchetta alla chitarra, Riccardo Taraglio al basso e Sergio Fiorani alla voce. Seguono un po’ di concerti e qualche rassegna che però faticano a lasciare il segno e dei Crohm si ricordano soltanto gli ultras dell’heavy metal italiano. Nel 2014 il miracolo! Con l’aggiunta di Fabio Cannatà alla batteria, la gens valdostana riprende vigore e nel 2015 avviene il debutto sul full length autoprodotto intitolato Legend and Prophecy. E’ del 2017 il secondo album, Humanity, griffato Sliptrick Records e in ordine sparso si susseguono concerti – aprono per Mägo de Oz e Raven, solo per citarne due -, ospitate radio e tutta quella serie di passaggi che forniscono piccole o grandi soddisfazioni in grado di permettere a una band di guardare al futuro con il sorriso. Quel sorriso che nasce dall’humus di una passione antica, invincibile, che riesce a far sì di far fronte a tutte le spese senza alcun aiuto esterno per poter tenere in vita un combo heavy metal nel nostro paese. Con l’aggravante, in questo caso, di risiedere in Val D’Aosta, zona periferica, in ambito di musica dura, per usare un eufemismo.

E’ di qualche settimana fa l’uscita di Failure In the System, il terzo disco ufficiale in casa Crohm, licenziato dalla band in regime di autoproduzione. Di spessore la confezione digipak che avviluppa il Cd all’interno: apribile a tre ante con tasca nella quale trova alloggio un libretto di dodici pagine con tutti i testi e una spettacolare foto del gruppo ad occupare la seconda e la terza. A giudicare dal vissuto che si respira sui volti di Fiorani, Zanchetta e Taraglio – un po’ meno Cannatà, evidentemente più “verde” degli altri tre – ha ancora più valore un’uscita di questo tipo, presumibilmente pagata totalmente di tasca propria, nel 2020, ove il concetto di “mercato” discografico è ormai, per l’appunto, un qualcosa di vago.

Failure In the System consta di quattordici brani ove la componente heavy di matrice classica e classicheggiante impera. Un’ora e rotti di musica che non cambieranno di certo le sorti dell’Acciaio declinato lungo le sette note ma che urlano al cielo la passione e il credo di quattro die hard che sono riusciti a confezionare un lavoro sì tradizionalista ma che non suona per nulla datato. La qualità della produzione è la prima cosa che colpisce: il Metallo per essere veicolato bene necessita della “botta” giusta, senza di quella suona annacquato. E i Crohm di mazzate ne distribuiscono a iosa, che è quello che conta, alla fine. Fra i pezzi migliori si stagliano la title track, la ficcante e profonda “Deep Blue”, piacevole pure la cover di “Eleanor Rigby”, l’iperclassica “Until You Disappear” e si chiude sulle note di due bonus track remaster: “Legend And Prophecy” e “Mountains” in versione “Heavy Folk”, entrambe originariamente presenti su’album del 2015.

Poudzo!

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

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