Recensione: Fall of the Song Dynasty (宋陨星辰)

Di Elisa Tonini - 20 Dicembre 2021 - 8:30

Il metal sinfonico con voce femminile vanta in Occidente moltissimi gruppi più o meno originali , mentre in Estremo Oriente questo filone appare più diradato. Una “scena” piccola, in cui risaltano i Crescent Lament da Taiwan, i cinesi Black Kirin (con l’album “National Trauma“) ed i presenti Mysterain (小雨樂隊). Nati nel 2005 nel Guangdong hanno rilasciato svariati prodotti tra cui emergono due full-lenght, specie Fall of the Song Dynasty” (2020).

A differenza dell’artwork alla Black Kirin di “National Trauma”, “Fall of the Song Dynasty ” è orecchiabile, ma non scontato. Abbiamo una base fluida, multiforme tra passaggi heavy classico, doom, assalti death metal melodico ed immediata epicità power. Il tutto è combinato e stratificato in modo intrigante nel contesto cinese, in cui gli strumenti tradizionali  sono autorevoli quanto quelli tipicamente metal. Indispensabili nell’espandere melodie fiabesche o spettrali ma anche a tenere uniti i cambi di tempo.

Questi elementi assecondano virtuosamente pure gli istinti sinfonici, occasionalmente velati da una sensazione “post”. Il camaleontico flauto manifesta tinte oscure oppure solari, rassicuranti oppure minacciose mentre il guzheng amplifica l’atmosfera antica e dona ulteriore spessore quando serve. Entrambi assecondano le storie riguardanti la longeva Dinastia Song ed il cinese nei testi è un punto a favore nell’autenticità.

La cantante (vicina a Tarja di “Once”) ispira un’immensa, vellutata pace ed un’incrollabile forza di volontà, sensazioni accompagnate dalle sua ottima tecnica. A volte interviene un potente ed espressivo growl e scream maschile mentre in “The Heroine” c’è una voce maschile operistica, di scuola cantonese. Voce funzionale nel raccontare una storia antica, vera, di una donna che indossò l’armatura e partì per assistere il marito generale in guerra. La forza della canzone sta nel sostenersi delle due voci,  molto compatibili e nel cuore romantico e battagliero.

Ancient Scroll”, “Dance in Fall” e “Sinful Petals” sono pregevoli strutturalmente, raffinati ma non stucchevoli, soprattutto gli ultimi due. In particolare “Sinful Petals” combina benissimo furia death melodico svedese e compostezza malinconica, mentre “Dance in Fall” sorprende con certi passaggi dall’aria sperimentale, affini ai Police.

“Scar of Garrision” è il brano più duro del disco, un battagliero death/power metal trascinato dalla voce maschile mentre quella femminile sottolinea la vena epica. Brani come “The Orchid” e “The Return” abbracciano l’acustico e l’atmosferico divenendo l’una, una sorta di ballad avvolta da un’aura di stampo religioso e l’altra un valido outro.

Seppur assai meno rispetto al precedente album “After the End of the Valley” qui e lì ci sono espedienti Nightwish e sensazioni un po’ pacchiane, specie in “WuMu” e soprattutto in “Back From Grazed”. Quest’ultima è a traccia meno ispirata del disco.

Con “Fall of the Song Dynasty” i Mysterain propongono un lavoro valido, in cui risaltano soluzioni melodiche ricche di classe e personalità, un’identità che potrebbe essere affinata ulteriormente eliminando certi pattern. A livello compositivo un deciso passo avanti e la tecnica strumentale e canora è ottima. Per l’aria colta e posata, in Cina sono più simili ai Fu Xi che ai Black Kirin, mentre in un contesto internazionale si affiancano ai noti finlandesi, agli Epica ed agli Eluveitie . “Fall of the Song Dynasty” è un disco da ascoltare per gli amanti del symponic metal e per quelli del folk metal.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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