Recensione: Far Far North

Di Daniele Balestrieri - 15 Febbraio 2004 - 0:00
Far Far North
Band: Einherjer
Etichetta:
Genere:
Anno: 1997
Nazione:
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91

Sul finire del 1997, il primo dicembre, i re incontrastati del viking metal puro di quel tempo alzano il loro martello di pietra e colpiscono brutalmente la terra, lasciando impressa nel fango la splendida forma di questo Mini-CD, produzione unica a cavallo tra l’ottimo Dragons of the North e il buon Odin Owns Ye All.
Far Far North, gelido vento invernale, è un eccezionale EP che nessuno al tempo si aspettava, e che invece si è insediato di fatto nell’olimpo delle produzioni viking dell’epoca, e non è raro sentir dire dagli “esperti” che questo è stato l’ultimo fiato prima della grande discesa degli Einherjer, che album dopo album li ha portati in un sentiero senza uscita fatta di album di scarsa atmosfera, personalità e ispirazione. Senza mezzi termini posso confermare che Far Far North brilla di luce propria, gli orrori di Norwegian Native Art e di Blot sono molto lontani, qui si parla di vero Viking Metal secondo la tradizione folk norvegese, un folk profondo e ispirato, scevro della goliardia nazionalista degli Storm e lontano dai sound black complessi dei Windir. Gli Einherjer sono in forma più che mai, e raccolgono ciò che avevano composto nel loro primo demo, Leve Vikingånden, e lo risistemano, aggiungendo una canzone inedita (la title-track) e donando a coloro che non avevano potuto mettere le mani sul demo del 1995 la loro massima perla.

L’album si apre col rullante di Far Far North, una splendida epopea di sette minuti in cui regnano sovrani equilibrio compositivo, fantasia, originalità e grande, grandissima epicità. Abbandonato il grezzo sound di Dragons of the North, Rune Bjelland siede sul trono di Thor e guarda verso il nord più lontano, dove si trova la dimora di tutti gli dei più neri e antichi: Loki, Hel e il Niflheim, dove gli indegni soffrono nelle sale ricoperte di pelli di serpente, che gocciano acido ed esalano vapori mefitici. Il testo è assolutamente impressionante: con grandissima sintesi e sagacia sono riusciti a intrappolare in una serie di riff trascinantissimi, fatti di chitarre distorte ad arte, di tastiere eccellenti e di cori assolutamente epici (in cui ogni singolo membro della band si cimenta a diverse tonalità) tutta la parte delle leggende nordiche che era stata composta per impaurire l’umanità del medioevo vichingo. La passione con cui il cantante ammonisce il mondo che i lupi si libereranno dalle catene, o la sofferenza con cui caccia via la figlia del demonio Loki, nella coscienza che un uomo non può far nulla contro il destino, trascinano l’ascoltatore come fosse di fronte alle leggende che si trasformano in realtà, come se tutta la band diventasse un cast di attore di fronte alla maestà di leggende immortali.

Un bel basso martellante, una batteria vivace e ricca vi porteranno per mano senza lasciarvi un istante, e nel fade finale vi ritroverete in “Naar Hammeren Heves“, seconda track dell’EP e prima track dell’antico Leve Vikingånden. Abbandonato l’inglese, Rune inizia a intonare sotto un’ottima tastiera un’apoteosi degli antichi spiriti vichinghi, in un trascinante ritmo sostenuto di batteria e chitarre, che lasciano spazio a ispirati assoli di quella classica ripetizione che è diventata scuola in Scandinavia. La canzone è una specie di interludio, un violento ritorno alla realtà, in cui l’urgenza comunicata da tutti gli strumenti rapisce la scena ai solari cori della canzone precedente, facendo cadere il CD in una sorta di spirale malinconica perfettamente comunicata dall’alternarsi di tempi medi e ritmi incalzanti. Il tutto per creare il palcoscenico alla bellissima, commovente “Naar Aftensolen Rinner“, degna conclusione di questo piccolo-grande EP. La canzone si apre con un triste, malinconico assolo che simboleggia lo splendore morente del sole al tramonto, finché un’intromissione di batteria e di chitarre armonizzate dalla sempreverde batteria non ci trascinano nella ripetitiva, estrosa malinconia di quest’ultimo brano di sette minuti, seconda parte del loro demo del 95. Una canzone che ricrea da sola i colori dei punti cardinali del cielo al tramonto, con il nero verso est, e il rosso fuoco a ovest. Davvero degno di nota il coro maschile di metà canzone, un lungo lamento in cui l’intera band (al tempo di cinque persone) dà prova di sé in fatto di interpretazione e sentimento. Ottimo brano, ottima conclusione di un ottimo EP, che lascia sicuramente l’amaro in bocca per quello che potrebbero essere ancora questi eroi del folk-viking e invece non sono più. Una chitarra acustica chiude l’intera opera, che poi scivolerà l’anno successivo nell’ispirato e lento Odin Owns ye All, che per quanto mi riguarda chiude la loro carriera.

Non trovo davvero altre parole per definire questo album, a mio avviso picco assoluto della loro produzione, e mi fa piacere constatare come nel folk e nel black scandinavo i mini-cd sono solitamente associati a perle di inestimabile valore (Black Winter Day degli Amorphis, Norse dei Kampfar, Sorrow Throughout the Nine Worlds degli Amon Amarth, solo per citare i primi tre che mi vengono in mente). L’EP, per quanto breve (21 minuti) e quindi limitato, vale ogni singolo centesimo speso; è ricco di passione, ed è una degna lezione su come il viking classico deve essere fatto. Ultimamente le band di questo filone sono in declino, se non addirittura quasi scomparse in favore di sound più moderni, come i mai troppo decantati Windir, o come Vansinnesvisor dei Thyrfing, oppure di sound più classici e di presa popolare, come l’ultimo di Falkenbach, Bathory e si suppone anche dei Kampfar. Il mercato si muove, è vero, ma è grazie a bulloni come questo Far Far North che può ancora far parlare di se, e avere un passato brillante ed evocativo. Se amate questo genere, o amate l’ottima musica, epica e travolgente, non rimpiangerete questo acquisto nemmeno dopo anni. Leve Vikingånden!

TRACKLIST :

Far Far North
Naar Hammeren Heves
Naar Aftensolen Rinner

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